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Intervista all’arcivescovo di Barcellona: «L’Europa cristiana deve rimettere al centro di tutto la famiglia»

«La diocesi di Milano e quella di Barcellona hanno diversi aspetti in comune, sia da un punto di vista religioso, ma anche economico e sociale», osserva l'arcivescovo del capoluogo della Catalogna, il cardinal Lluìs Martinez Sistach, in visita nel territorio ambrosiano alla guida di un gruppo di giovani sacerdoti catalani.

7 Agosto 2008

07/08/2008

di Luca FRIGERIO

Un viaggio di studio e di confronto sulla realtà pastorale milanese, culminato con l’incontro in Arcivescovado con il vicario generale della diocesi, monsignor Carlo Readaelli, ma che ha previsto anche momenti per ammirare le bellezze artistiche e paesaggistiche della Lombardia, come spiega in questa breve intervista lo stesso cardinal Martinez Sistach.

Eminenza, quali sono le ragioni di questo viaggio?
Periodicamente, una volta ogni tre mesi, siamo soliti fare un incontro con i sacerdoti che stanno iniziando il loro ministero pastorale, per riflettere insieme e confrontarsi sulle diverse esperienze. Questa volta, insieme ai sacerdoti che sono stati ordinati sette anni fa, abbiamo pensato di fare una visita nella diocesi di Milano, per conoscere da vicino le numerose iniziative pastorali che vi vengono promosse. Per noi è un’esperienza importante, sia per la comunione ecclesiale con una Chiesa sorella, sia perchè possiamo riportare esperienze utili anche per le attività nella nostra diocesi.

Nella diocesi di Milano si stima che i praticanti siano circa il venti per cento della popolazione, mentre una parte ben più consistente, pur dichiarandosi “vicina” alla Chiesa, partecipa solo occasionalmente alla vita delle comunità… Com’è la situazione nella diocesi di Barcellona?
Piuttosto simile, direi. Bisogna tenere conto, poi, che la diocesi di Barcellona oggi si presenta con un territorio non particolarmente vasto, essendo stata divisa nel 2004, ma con una densità abitativa molto alta. Succede così che ogni settimana, per il sabato e la domenica, oltre mezzo milione di persone lasciano la loro residenza a Barcellona per recarsi nelle seconde case al mare o in montagna, situate in altre diocesi. È evidente, allora, che noi dobbiamo pensare a una pastorale che sia essenzialmente di tipo missionario.

Avete predisposto un programma particolare?
Abbiamo fatto un piano triennale, che è entrato ora nell’ultimo anno e che ha tre obiettivi principali: la questione dell’iniziazione cristiana e della trasmissione della fede; la celebrazione della messa domenicale; l’attenzione pastorale al sacramento del matrimonio e della famiglia. Tre priorità che, abbiamo avuto modo di verificare, sono le stesse della diocesi di Milano. Del resto, io credo che siano davvero queste le sfide per l’intera Europa cristiana.

E per quanto riguarda le vocazioni sacerdotali?
Quest’anno entreranno nel nostro seminario maggiore 8 nuovi giovani, che vanno ad aggiungersi ai 35 seminaristi che stanno già facendo il loro cammino di preparazione. Forse non sono tanti, ma dobbiamo ringraziare il Signore per questo dono. Io sono convinto che la presenza delle vocazioni sacerdotali e religiose sia un test di vitalità delle comunità cristiane di una determinata società. Purtroppo in Europa, oggi, si sta vivendo ovunque un “inverno vocazionale”, per usare le parole di Giovanni Paolo II.

E cosa si può fare?
Ancora una volta il nocciolo della questione è la famiglia cristiana, che ha sempre offerto le condizioni favorevoli per la nascita delle vocazioni. Già il Concilio Vaticano II, del resto, ha affermato che le famiglie, animate da uno spirito di fede, di carità e di pietà, sono una specie di primo seminario. Per questo, lo ribadisco, uno degli obiettivi prioritari del piano pastorale della diocesi di Barcellona è l’attenzione al matrimonio e alla famiglia.

Quando si parla di giovani e di chiesa, nella diocesi di Milano si pensa subito agli oratori…
E’ vero, è un’istituzione molto importante. Anche da noi quasi la metà della gioventù “ruota” attorno a delle realtà ecclesiali, perchè ci sono molte scuole cattoliche, centri di aggregazione di ispirazione cristiana per lo sport e il tempo libero, i movimenti… E tuttavia la frequentazione dei giovani alla messa non è certo di massa. Ma ci sono comunque segnali molto interessanti: una volta al mese, ad esempio, io mi ritrovo in duomo con i giovani per una scuola di preghiera, e sono incontri molto partecipati.

Vista dall’Italia, la Spagna in generale, e la Catalogna in particolare, sembrano avere una marcia in più, per così dire, da un punto di vista economico. È un’impressione corretta?
Indubbiamente abbiamo vissuto un periodo di crescita economica, a cui però sta già seguendo una crisi, che colpendo tutto l’Occidente fa sentire i suoi effetti anche in Spagna. Il problema, però, è che a questo boom economico non è seguito un boom dei valori: la scommessa, per il futuro, è quello di far crescere allo stesso ritmo dell’economia anche la coerenza tra fede e vita dei cristiani, il senso di responsabilità e la solidarietà.