Share

Anniversario

Tobagi, la serenità di cuore di un cristiano

Sono passati 40 anni dal vile assassinio dell’inviato del «Corriere della» Sera e presidente della Associazione lombarda dei giornalisti ad opera di terroristi rossi. Testimone della fede e instancabile difensore della libertà di informazione

di Giorgio BAGLIANIPresidente «Centro d’azione culturale Walter Tobagi» di Milano

26 Maggio 2020
Walter Tobagi

La tragica fine della vita di Walter Tobagi, avvenuta il 28 maggio 1980, e la vicenda del Centro d’azione culturale, costituito nel novembre 1979 all’interno della comunità di Santa Maria del Rosario in Milano, sono significativamente interconnesse, tanto da essere un fatto non marginale, pur nel ristretto ambito in cui si è svolto lontano da risonanze mediatiche e comunque da ricordare in questo 40° anniversario dell’assassinio di Tobagi.

Walter Tobagi, già affermato inviato del Corriere della Sera, assiduamente presente con la famiglia all’Eucarestia domenicale, era stato invitato, all’inizio delle attività dell’anno pastorale 1978-1979, ad approfondire, nel corso dell’incontro con alcuni membri della comunità parrocchiale, quell’analisi del fenomeno “terrorismo” che con tanta chiarezza sviluppava sulla prima pagina del più letto quotidiano italiano.

Quella sera del 23 novembre 1978 eravamo un buon numero ad ascoltare la lucida esposizione del giovane giornalista, a 30 anni già presidente dell’Associazione lombarda dei giornalisti, sulla “violenza”, un fenomeno che analizzava nella continua manifestazione di “fatto” sociale, politico e morale, un fenomeno sociologico che presentava forme e modalità molto diverse. Di notevole profondità e acutezza l’analisi di Tobagi del rapporto, nel contesto della “violenza”, tra immagine e realtà, dove l’immagine può in qualche modo creare la stessa realtà.

Il vivace e prolungato dibattito che ne è seguito, si è concentrato sulla posizione dei cristiani, a qualunque estrazione politica appartenessero, nello svilupparsi della vita della società e sulle responsabilità che loro derivavano.

A innescare il confronto tra le argomentazioni di Tobagi e di alcuni presenti era stato anche il recentissimo j’accuse di Alberto Moravia, riecheggiato su diversi organi di stampa, contro il cristianesimo, complice – a suo dire – con l’esaltazione del sacrificio della Croce, di un indiretto incitamento alla violenza come denuncerebbe la presenza di cattolici tra le fila di varie formazioni ultrà.

Pacata e storicamente documentata la posizione di Tobagi sul ruolo che svolgevano e che avrebbero dovuto svolgere i cattolici anche in relazione al rinnovato spirito del dialogo Chiesa-mondo che il Concilio Vaticano II aveva, ormai da oltre un decennio, avviato.

Una serata, quella del 23 novembre 1978, di nessun particolare risalto (un parrocchiano che metteva a disposizione della sua comunità, come faceva dalle colonne del Corriere, le sue considerazioni su un fenomeno tanto allarmante e incidente all’epoca sulla convivenza civile e sociale) aveva in effetti la singolarità di svolgersi mentre nella comunità di Santa Maria del Rosario, da qualche mese, stava concretandosi l’idea di costituire un Centro culturale con l’intento di dare alla comunità «uno strumento di analisi e sintesi della realtà nella quale vive, alla luce della Parola di Dio».

Il primo corso del Centro culturale iniziò il 23 novembre 1979, esattamente – singolare coincidenza – un anno dopo la nostra serata con Walter Tobagi.

Gli organizzatori del Centro culturale, nella programmazione dei primi due anni, avevano presente il tema che tanto appassionava Tobagi e l’apporto che avrebbe potuto dare nel moderare un intero corso di formazione culturale sulla “violenza”. E in questo senso i contatti maturati in quei mesi ci avevano assicurato la sua disponibilità a dirigere questo corso, programmato per l’autunno del 1980 alla ripresa dell’attività pastorale della comunità.

Il 28 maggio 1980 la “violenza”, quella “violenza” che aveva cercato di analizzare con sereno rigore, troncava la vita di Walter Tobagi. Aveva 33 anni.

Nel novembre 1980, anche per rendergli omaggio, iniziava il corso «Il problema della violenza», moderato dal filosofo Carmelo Vigna. Tra le numerose relazioni del corso va ricordata quella dello scrittore Giovanni Testori «La violenza dell’immagine» che ci richiamava il rapporto immagine-realtà, sviluppato da Tobagi nell’incontro del novembre 1978.

È proprio in occasione di quel corso che maturò l’idea, concretizzata all’inizio del 1981, di intitolare al nome di Walter Tobagi il nostro Centro culturale ai suoi primissimi passi di un’esperienza culturale di cristiani.

Questi gli scarni dati cronachistici dei due avvenimenti, ma le valenze ad essi sottesi sono di forte valore spirituale e culturale: un libro che si è aperto e abbiamo il dovere di tenere aperto e di alimentare. Alimentare attingendo a una eredità ricca della coerenza di una delicata professione, quella giornalistica, esercitata da Tobagi con rigore e trasparenza morale, gelosamente tutelati nonostante i gravissimi rischi personali dei quali era perfettamente cosciente. In sostanza Tobagi ha fatto cultura testimoniandola con la sua vita, sino al sacrificio della sua stessa vita.

In questi anni la nostra attività fatta nell’ambito di un Centro culturale che abbiamo voluto portasse il suo nome, ha aiutato a mantenere viva la sua figura, il suo pensiero, a mantenerlo vivo come testimone di lucida coerenza, modello di comportamento e di tenacia per tanti nostri giovani che affrontano oggi navigazioni in mari insidiosissimi.

E questo preciso desiderio di aiutare a mantenere vivo il senso profondo di una testimonianza ha avuto un confortante riconoscimento nelle parole pronunciate dal cardinale Carlo Maria Martini all’apertura del convegno del ventennale della nostra attività «La cultura della fede» che risentiamo ancora oggi con profonda commozione: «Anch’io non posso cominciare questo mio breve saluto se non ricordando, anche se la cosa mi commuove molto, quel maggio 1980, un momento drammatico quando venni qui per i funerali di Walter Tobagi. E ringrazio per il ricordo che ne vivo ancora oggi: a me rimane fortemente impresso il ricordo del dolore della gente, il dolore della famiglia, dei suoi, il dolore della città. Ed è bello che da tanto male sia venuto anche questo ricordo, questo approfondimento culturale nel quadro degli interessi, dell’ampiezza di vedute, della serenità di cuore di Walter Tobagi. Ringrazio voi che avete portato avanti questo Centro con tanta determinazione…».

Crediamo sia giunto il momento di far luce sulla figura di Tobagi, su quel tessuto di valori che hanno non solo ispirato la sua azione professionale, la difesa della minacciata libertà di espressione, ma che hanno soprattutto sorretto la sua coerente fermezza anche in presenza di segni, chiaramente da lui percepiti, di pericolo per la sua stessa vita, una vita che stava sviluppandosi nella più gioiosa pienezza accanto a una adorata sposa e a due figli in tenera età.

È legittimo chiederci se la sola preparazione scientifica dell’analisi storica, se l’acuta sensibilità nella pronta intuizione della concatenazione di quei tragici avvenimenti possano da sole consegnarci lo studioso Tobagi, il giornalista Tobagi?

O chiederci se per incontrare l’uomo Tobagi nella sua interezza e nella sua complessa umanità non si debba allargare l’obiettivo, non si debba avere il coraggio, l’onestà intellettuale di mettere in gioco anche il Tobagi “credente”, credente convinto?

Credente convinto come quando entrato ormai nella vita professionale ad Avvenire prima e al Corriere dopo, richiesto nell’estate del 1979 dal cardinale Giovanni Colombo di un commento alle bozze del «Catechismo per gli adulti», confidandosi con il collega Giuseppe Baiocchi, traeva spunto proprio da quel testo pastorale per soffermarsi sul significato etico che aveva sempre attribuito alla professione e a quei criteri deontologici ben condensabili nel duplice obiettivo da lui sempre perseguito di «voler capire e poter spiegare».

Credente convinto come quando – è sempre il collega Baiocchi a testimoniarlo – negli anni Sessanta, davanti agli angosciosi interrogativi aperti da una situazione difficilmente decifrabile, con una società in tumulto e una Chiesa che ricomponeva con fatica le tensioni del Concilio Vaticano II, con un’economia allo sbando e una politica paralizzata «Tobagi coltiva tuttavia la speranza davvero cristiana di cogliere e valorizzare le scintille di un cambiamento graduale, democratico e non violento».

Per questo riteniamo non solo legittimo, ma anche utile per illuminare le radici di tutto il suo pensiero, aprire un filone di indagine sulla spiritualità di Walter Tobagi.