Sirio 26-29 marzo 2024
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Società

Sono troppi i giovani inerti

Riavviare i loro motori è un compito che spetta alla politica e agli attori sociali

di Andrea CASAVECCHIA

23 Febbraio 2015

Ci sono tre ferite strutturali che indicano le difficoltà incontrate dalle nuove generazioni e la scarsa capacità del nostro Paese di affrontarle: la precoce interruzione degli studi, l’inattività, la permanenza nella famiglia di origine. Recenti dati Istat ed Eurostat rilevano l’esistenza di un’ampia quota di giovani in situazione di inerzia.

Il 17% dei ragazzi che oggi hanno tra i 18 e i 24 anni non ha portato a termine il suo percorso scolastico; il 26% dei giovani (oltre 2,5 milioni) non sono intercettati dal mercato del lavoro, né sono inseriti in percorsi di formazione o di avviamento professionale; il 65% (7 milioni) di giovani tra i 18 e i 34 anni vive a casa con i genitori.

Quando all’interno di una popolazione si raggiungono livelli così alti, la questione non può essere relegata alla sola responsabilità individuale: la pigrizia o la tendenza italiana a mantenere i figli nel guscio protettivo familiare. Ci sono responsabilità sociali: ne potremmo indicare alcune come la mancanza di proposte di percorsi per l’inserimento professionale, un mercato del lavoro bloccato, la mancanza di un sistema di welfare che sostenga i giovani nelle loro scelte, un sistema d’istruzione poco capace d’includere quelli che manifestano maggiori difficoltà. Ci sono misure da poco intraprese che tendono ad affrontare alcune questioni: come il Jobs act o la Buona scuola. Quello che, però, appare mancante è una proposta di sistema che lasci intravedere gli orizzonti in cui ci si muove e che quindi offra lo stimolo a riavviare i motori per la parte più svantaggiata della nuova generazione.

L’immobilismo è un forte campanello d’allarme innanzitutto per il futuro di quei giovani, poi vista la consistenza del loro numero, per il futuro di tutta la comunità.

Quando l’inerzia diventa prolungata, diversi disagi sociali possono trovare spazio e minacciare sia i singoli giovani sia il sistema sociale: dalle tradizionali pratiche di abuso di alcol alle nuove dipendenze come gli “hikikomori”, ragazzi che vivono il web come unica realtà; dalla crescita di stati di insofferenza e rabbia al diffondersi di linguaggi e comportamenti violenti; dalla delusione per l’incapacità di trovare un’occupazione allo sfruttamento del lavoro nero e all’impossibilità di rendersi autonomi.

Come spronare all’azione? Ci sarebbero due livelli d’intervento. Da una parte, occorre integrare le politiche su ampia scala con l’attenzione al welfare comunitario, l’unico in grado di seguire i percorsi e gli itinerari dei singoli. Dall’altra parte, sarebbe opportuno uno slancio culturale che agisca sull’educazione e possa offrire ai giovani una sapienza che vada oltre l’istruzione per alimentare un senso della vita. In una società aperta senza la capacità di sapersi orientare sarà sempre più difficile costruire il proprio futuro, perché si tenderà a rinchiudersi in sé.