Share

Medio Oriente

Siria, voci da un inferno ignorato

A Milano una serata organizzata dalla Comunità di Sant’Egidio per sensibilizzare l’opinione pubblica sul dramma che sta travagliando il Paese nell’indifferenza dell’Occidente

di Claudia ZANELLA

10 Giugno 2013

«Sono entrato in quella stanza di ospedale e ho visto un uomo. Non aveva più la luce negli occhi che abbiamo tutti, era come se fosse morto dentro». A parlare è Shady Hamadi, giovane scrittore intervenuto all’incontro “Speciale Siria: voci e immagini da una guerra dimenticata”, organizzato domenica sera a Milano dalla Comunità di Sant’Egidio. Shady si è fatto portavoce dei feriti privi di un’assistenza medica adeguata, degli oppositori del regime ferocemente torturati, dei bambini seviziati e mutilati, dei profughi e di quanti lottano per la libertà e vengono decimati.

Convinto dell’importanza di una presa di posizione dell’Occidente riguardo ciò che sta accadendo nel suo Paese, Hamadi ha tentato di sensibilizzare le autorità italiane ed europee, trovando però «uno scarso interesse da parte loro». Ha concluso ricordando la testimonianza di quanti sono scappati dalla città sotto assedio per cercare rifugio presso le comunità cristiane siriane, dove hanno trovato protezione e una possibilità di fuga: per loro il cristianesimo rappresenta «una possibilità di riconciliazione».

Durante l’incontro si sono susseguite letture di testimonianze sulla guerra. In particolare sono state ricordate le parole di Domenico Quirico (l’inviato de La Stampa rapito due mesi fa) sull’incapacità del giornalismo di comunicare il dolore, e una lettera del fotoreporter francese Olivier Voisin – recentemente ucciso nel Paese mediorientale – accompagnata dalla proiezione di alcune immagini da lui scattate. Sono fotografie di civili, perlopiù bambini, in scenari devastati dal conflitto armato: sui loro volti angoscia e disperazione, ma anche sorrisi, speranza, fede.

Ha poi preso la parola Hamed (nome di fantasia), rifugiato siriano, scappato dalla guerra alla fine del 2012. Ha raccontato la sua storia e, ricordando la coesistenza pacifica dei cinquantadue gruppi religiosi presenti in Siria, ha sottolineato l’apertura del suo popolo verso le minoranze religiose e l’importanza di Gesù per gli stessi musulmani. Ha quindi portato l’attenzione sulla storia del regime e sulla nascita della rivolta, inizialmente pacifica e poi sfociata nel conflitto sanguinario che lacera il Paese dal 2011. «Mentre si manifestava pacificamente, i militari hanno iniziato a sparare sugli indifesi, su donne e bambini», ha spiegato. Ha descritto gli orrori contro cui si è scontrato e che l’hanno costretto a fuggire. Infine ha denunciato la disinformazione e il disinteresse dell’Occidente.

Dopo aver citato le parole del vescovo ortodosso Mar Gregorios Ibrahim, rapito nei pressi di Aleppo il 22 aprile, è toccato all’ultima testimonianza diretta. «C’è una donna incinta che da tempo non sente più muoversi il suo bambino. Ma non ci sono medici presso l’ambulatorio del campo profughi che possano assisterla…»: l’ha raccontato Cristina Paganini, portavoce dell’associazione Time4Life, l’ong che si occupa di raccogliere aiuti umanitari per la Siria per far sì che situazioni come quella descritta non si moltiplichino.