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Welfare

Serve uguaglianza per una società sfilacciata

I primi a perdere contatto con il resto della società sono i più deboli. Va completata la riforma del terzo settore coniugando il livello centrale con quelli regionali e degli enti locali

di Andrea CASAVECCHIA

9 Gennaio 2018
(Foto di Yuri Colleoni)

La nostra società appare sfilacciata come un tessuto senza un orlo che prima lentamente o poi più rapidamente perde i suoi fili. Con il passare del tempo la fisionomia della figura iniziale tende a perdere i contorni e l’immagine è sempre meno definita. Così accade quando si iniziano ad allentare i legami tra i cittadini. Il motivo per cui si è vicini diventa meno chiaro e anche le ragioni per aiutarsi a vicenda rischiano di trovare meno consenso. E ovviamente i primi a perdere contatto con il resto della società sono i più deboli.

Occorre invece ricordare che c’è un patto che lega gli italiani. Il nostro, proprio nel 2018 appena iniziato, festeggerà i 70 anni, come ha sottolineato il presidente Mattarella durante il suo discorso di fine anno. Lì ci sono le origini dello stare insieme, sarebbe importante condividere e rinverdire i valori che sono contenuti nella nostra Costituzione.

Uno degli ingredienti che ha il compito di amalgamare la nostra Repubblica è lo stato sociale, quando questo perde colpi si creano squilibri sul principio di uguaglianza. Ci sfilacciamo. Eppure qualche intervento per rendere più efficace il welfare è stato realizzato.

I dati Eurostat mostrano che l’Italia è più in meno in linea con la media europea rispetto alla quota di budget destinato alle politiche sociali, circa il 30% del Pil: certo da noi la parte del leone è delle pensioni il 58% contro una media Ue del 45% sul totale della spesa pubblica, invece la spesa per la sanità e le disabilità è inferiore (il 28,7% contro il 37,3%). Una differenza che ci offre un’indicazione sulla nostra strategia. Si preferisce trasferire risorse ai singoli cittadini piuttosto che offrire loro servizi. Molto probabilmente si immagina che saranno i cittadini a scegliere come risolvere i loro bisogni. Questo funziona quando ci sono cittadini maturi e forti. Cosa succede quando i cittadini diventano più deboli, ad esempio quando diventano molto anziani? E poi funziona quando ci sono organizzazioni sociali capaci di agire nelle comunità locali.

Tutto l’apparato di welfare state oggi è impostato per offrire un livello minimo che dovrebbe essere integrato da altre tipologie di servizio che sono più urgenti proprio per quei cittadini più fragili. La riforma del terzo settore è stata costruita per rendere più efficace l’operato della pluralità dei corpi intermedi che agiscono sul territorio vicino alle persone, in modo da rispondere meglio ai loro bisogni.

Va però completato un processo che prevede la regolazione ai livelli regionali e degli enti locali della riforma, altrimenti il nostro sistema non vedrà crescere un braccio importante, quello che serve ad attivare i cittadini più deboli, a tenerli vicini per accompagnarli verso un percorso di inclusione.

In fondo è l’azione dei corpi intermedi che tende a ricucire l’orlo per contrastare i continui sfilacciamenti. L’uguaglianza oggi si gioca a più livelli, centrale e radicato sul territorio per servire le persone, se non si riuscirà a coniugarli parte della Costituzione rimarrà astratta e i cittadini continueranno a vedere meno chiaramente il loro patto.