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Istat

Senza dimora: solitudini nella città

Dai dati della prima stima nazionale risulta che a fine 2011 47.648 persone hanno ricevuto accoglienza notturna

a cura di Marta FALLANI Agenzia Sir

10 Ottobre 2012

«Aiutare il Paese a rendersi conto dei propri punti di forza e delle proprie debolezze», con l’obiettivo di «andare oltre i dati e rimettere al centro le persone». Così Enrico Giovannini, presidente Istat, ha presentato la prima stima nazionale delle persone senza fissa dimora censite dall’Istituto di statistica. Lo studio, realizzato in collaborazione con Caritas italiana, la Federazione italiana degli organismi per le persone senza dimora (fio.Psd) e il ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, ha interessato le persone che si sono rivolte ai servizi di mensa e accoglienza notturna dei 158 Comuni dove sono state svolte le interviste campione, nei mesi di novembre e dicembre 2011. Uno studio che «combatte gli stereotipi», ha commentato Giovannini, «un passo importante per rendere visibile chi è invisibile».

Lo 0,2% della popolazione

Sono 47.648 le persone che hanno utilizzato almeno un servizio di mensa o accoglienza notturna negli ultimi due mesi del 2011. Lo 0,2% della popolazione iscritta all’anagrafe. Secondo lo studio Istat, le persone senza dimora sono in maggioranza uomini (86,9%, contro il 13,1% delle donne), il 57,9% dei quali ha meno di 45 anni. Il 72,9% dichiara di vivere da solo, il 7,5% di non avere mai avuto una casa. Il 73,2% degli italiani intervistati, viveva nella propria casa prima di trovarsi nella condizione di homeless. Roma e Milano accolgono la maggior concentrazione di persone senza dimora (71%), ma Roma si caratterizza per una maggiore presenza di persone con dimora che si rivolgono ai servizi di mensa, il 24% contro il 17% di Milano.

Gli stranieri

Il 59,4% degli intervistati è di origine straniera, più giovani degli italiani (il 47,4% ha meno di 35 anni) e con un elevato titolo di studio (il 40,8% ha la licenza media superiore, contro il 22,1% degli italiani, il 9,3% è laureato). Vivono da meno tempo nella condizione di senza dimora, il 17,7% da almeno due anni, contro il 36,3% degli italiani. Solo il 20% degli stranieri ha dichiarato di vivere in strada già prima di arrivare in Italia. Hanno più capacità di rimanere in contatto con la propria famiglia (78,3% contro il 58,6% degli italiani).

Le cause

La perdita del lavoro e la solitudine risultano essere le cause più rilevanti per accedere alla condizione di senza dimora. Il 61,9% degli intervistati ha perso il lavoro stabile, il 59,5% si è separato dal coniuge o dai figli. Il 16,2% dichiara di stare male o molto male. Non svolge alcuna attività lavorativa il 71,7% del totale, ma di questi solo il 6,7% non ha mai lavorato. Licenziamento, fallimento della propria attività o motivi di salute, le cause principali di perdita del lavoro. Il 17,9% degli intervistati, non ha dunque alcuna fonte di reddito. La maggior parte di loro, il 53,4%, riceve aiuti economici, in molti casi l’unica fonte di reddito, da familiari, parenti, amici o da associazioni di volontariato. Il 78,3% degli italiani senza dimora vive da solo.

Abbattere i pregiudizi

Rimettere la comunità al centro insieme alla persone. Questo l’appello lanciato da don Francesco Soddu, direttore di Caritas italiana, intervenuto alla presentazione. Lo spostamento di città da parte delle persone, evidenziato dallo studio, è indice di «una perdita di appartenenza a una comunità», ha commentato don Soddu, e «perdita della comunità di svolgere il ruolo di tutela del singolo», di una comunità «incapace di riconoscere i segnali di sofferenza dei suoi membri». I dati presentati, ha aggiunto, sono allora «occasione per intercettare i fenomeni e puntare all’efficacia degli interventi», i quali però non devono riguardare solo la Caritas: la «costante attenzione all’altro» per un cristiano «significa rispondere a una chiamata evangelica, per un cittadino alla carta costituzionale».
I dati della ricerca, secondo Paolo Pezzana, presidente fio.Psd, «demoliscono il pregiudizio che in Italia le persone senza dimora siano poche». «È un pregiudizio pensare che i senza dimora siano incapaci di seguire percorsi di recupero», ha chiarito Pezzana, ribadendoche «non esiste una persona incapace di socialità».