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Società

Se cresce la cultura, sale anche il Pil

Valutato il contributo economico garantito dalla creatività: investire nel settore in cultura porta maggiore produzione alle imprese, aiuta l’occupazione, attrae investimenti e stimola altre aree economiche, a iniziare dal turismo

di Andrea CASAVECCHIA

18 Giugno 2015
assemblea diocesana 
percro
foto yuri colleoni

La gestione del patrimonio artistico e culturale italiano di creatività e di qualità è spesso criticata: si parla di scarsa valorizzazione e di abbandono, ci si pente delle risorse sprecate. Meno di moda è tenere in considerazione quanto di quel patrimonio porta frutto. Scopriremmo che investire in cultura porta maggiore produzione alle imprese italiane, offre un forte apporto all’occupazione, attrae investimenti e stimola altre aree economiche, a iniziare dal turismo ovviamente.

Una ricerca di Union Camere condotta con Symbolastima evidenzia il contributo economico che cultura e creatività offrono. Il Rapporto 2015 si intitola in modo significativo: Io sono cultura – L’Italia della qualità e della bellezza sfida la crisi. Si tratta di un osservatorio che analizza le aziende di architettura, design e artigianato come quelle che producono libri e videogiochi, e poi musei e convegnistica, siti archeologici e parchi divertimento.

I dati sono eloquenti: in Italia le imprese del sistema produttivo culturale sono oltre 400 mila (il 7,3% delle imprese nazionali), insieme alle istituzioni pubbliche e del no profit del settore rappresentano il 5,8% dell’economia nazionale. E soprattutto hanno un effetto di moltiplicatore economico: perché per ogni euro prodotto se ne ricava 1,7 sul resto dell’economia per un totale di 227 miliardi di euro. La filiera della cultura è preziosa anche per il contributo alle forze lavoro: impiega oltre il 6% degli occupati (1,5 milioni di persone).

Inoltre la cultura e la creatività sono portatrici di maggiori profitti, secondo la ricerca: il fatturato delle imprese che hanno investito in creatività negli ultimi due anni è cresciuto del 3,2% e ha portato anche a un aumento delle loro esportazioni del 4,3%.

Poi c’è il turismo: l’Italia è il Paese dell’Unione europea più attraente per i turisti dei nuovi Paesi emergenti. Si legge nella sintesi della ricerca che «siamo la meta preferita dei Paesi ai quali è legato il futuro del turismo mondiale: la Cina, il Brasile, il Giappone, la Corea del Sud…».

Le note dolenti che potrebbero diventare prospettive per il futuro arrivano quando si considera la distribuzione geografica. Ancora una volta ci si accorge dell’assenza del Mezzogiorno tra i primi posti, dove invece si collocano le province del Centro sia per valore aggiunto che per occupazione impiegata. Ma l’assenza si può compensare perché il patrimonio artistico e culturale nel Sud d’Italia è ricchissimo e sarebbe sufficiente metterlo in rete, iniziare a promuoverlo e soprattutto investire in infrastrutture efficienti, perché anche lì si avvii un’esperienza fruttuosa.

Dalla lettura di questi dati emerge un pensiero sulla scarsa predisposizione degli italiani a godere delle ricchezze prodotte, perché trascuriamo il nostro patrimonio. Servirebbe una sensibilizzazione maggiore perché dalla capacità di comprendere e apprezzare la bellezza nelle sue diverse forme potrebbe nascere anche un nuovo rispetto per i valori collettivi del Paese, a volte messi in disparte per favorire gli interessi privati.