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Scuola

Ora di religione:
perché questa confusione?

Una polemica motivata da una non conoscenza oggi non più giustificata e giustificabile

di Alberto CAMPOLEONI

26 Settembre 2012

C’è da chiedersi perché. Perché il ministro dell’Istruzione Profumo esterna sull’insegnamento della religione cattolica (Irc), mostrando tra l’altro di non conoscerlo molto bene? Perché adesso?

Lo stesso Ministro, non molto tempo fa, ha firmato un’intesa con la Conferenza episcopale italiana sulle nuove indicazioni didattiche per l’Irc nelle scuole superiori (oltre a un’altra sulla qualificazione dei docenti) che tengono certamente conto dell’attenzione alla società multietnica, della conoscenza e del rapporto tra le religioni. Quei temi che, secondo le ultime esternazioni, renderebbero invece l’Irc inadeguato e da rivedere. Già a Torino, settimana scorsa, alla festa di Sinistra, ecologia e libertà, Profumo aveva sostenuto che l’ora di religione, così com’è strutturata, avrebbe poco senso e andrebbe modificata. Perché ormai «nelle nostre classi, soprattutto alle elementari e alle medie, il 30% degli studenti è di origine straniera e, spesso, non di religione cattolica». «Probabilmente – aveva aggiunto – quell’ora di lezione andrebbe adattata, potrebbe diventare un corso di storia delle religioni o di etica». Nei giorni scorsi, a margine di un incontro per la presentazione della biblioteca ministeriale, è tornato sulla questione, scatenando inevitabilmente una ridda di commenti, e di confusione, sull’Irc “catechismo coi soldi pubblici”, che indottrina i ragazzi.

A chi giova sollevare un polverone del genere? Tanto più che il Ministro dovrebbe sapere bene che l’Irc è ben diverso dal “catechismo” su cui insistono gli irriducibili paladini di ideologie ormai superate; non è solo per i cattolici, ma è per tutti; concorre al pieno raggiungimento delle finalità della scuola pubblica; non chiede adesioni di fede; contempla, nei programmi e negli strumenti didattici, la conoscenza e il confronto con tradizioni culturali e religiose diverse.

Dovrebbe sapere, anche, il Ministro, che tale insegnamento è frequentato in concreto da molti allievi non cattolici, anche stranieri, i quali evidentemente non si sentono discriminati dall’Irc e, attraverso la conoscenza dei principi del cattolicesimo, parte del patrimonio storico del popolo italiano, contribuisce a promuovere integrazione culturale e cittadinanza. Lo ha ricordato molto bene, tra l’altro, Giuseppe Della Torre su Avvenire, facendo intendere come il Paese e la scuola abbiano ben altri e “gravissimi” problemi.

E allora viene da pensare che il polverone – alimentato anche da un modo senza scrupoli di fare notizia (un titolo sull’ora di religione “tira” sempre, anche se c’è poco da mordere) – serve a coprire proprio i “gravissimi” problemi, che vanno dall’edilizia scolastica disastrata alla situazione precaria delle scuole terremotate, dalla situazione irrisolta del precariato al malumore e disamore di molti operatori scolastici e chi più ne ha più ne metta. Problemi che evidentemente nemmeno i proclami sulla “scuola digitale” riescono a mettere in secondo piano.

Davvero non serve oggi una polemica in più sull’Irc. Ben venga una riflessione sulle didattiche innovative, sulla necessità di restare al passo con la società e i bisogni educativi delle nuove generazioni, ma senza confusioni. L’Irc in questi anni ha camminato proprio in questa direzione. Si può sempre migliorare, ma polemiche e ideologia non sono la strada giusta.