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Verso il 2015

«L’Expo e la fame:
combatterla si può»

Luigi Campiglio, economista della Cattolica, riflette sulle considerazioni che il cardinale Scola ha fatto nel Discorso alla città a proposito di finanziarizzazione e di «mito della tecnocrazia»

di Luisa BOVE

15 Dicembre 2013

«Cosa nutre la vita?»: per rispondere a questa domanda, nel Discorso alla Città e nel volume in cui ha raccolto le sue riflessioni, il cardinale Angelo Scola ha affrontato il tema a partire dai sistemi economico-finanziari per arrivare fino alla politica internazionale, senza però dimenticare i nuovi stili di vita che singoli e comunità devono adottare. Ne parliamo con Luigi Campiglio, ordinario di Economia politica presso l’Università cattolica del Sacro Cuore.

Il cardinale Scola punta il dito sul «mito della tecnocrazia». Quali i rischi di questo sistema?
Il limite fondamentale di una struttura tecnocratica è quello di non considerare le persone, con nome e cognome, con la loro vita e la loro storia. Il rischio è di non tenere conto di ciò che ci rende differenti nel mondo. La tecnocrazia in un certo senso è una deformazione dell’idea di uguaglianza: tutti sono numeri e il resto (la dimensione umana, psicologica…) non esiste.

L’Arcivescovo parla anche di «tragedia della fame». Quali sono le vie per sconfiggerla davvero, dato che si dice sempre che il nostro pianeta sarebbe in grado di sfamare tutti?
Questa è un’affermazione tanto vera quanto misconosciuta. Il pianeta ha le capacità di venire incontro alle esigenze di un dignitoso tenore di vita per tutti, purché le risorse siano distribuite in modo appropriato. È chiaro che esiste una questione della popolazione in relazione alla tecnologia, tuttavia va detto che le tendenze demografiche vanno ormai verso la stabilizzazione: quindi occorre associare le organizzazioni internazionali e stabilizzare i prezzi delle materie prime alimentari. Da questo punto di vista l’ultimo accordo del Wto (l’organizzazione mondiale del commercio, ndr) sugli scambi internazionali è un passo avanti: ci sono stati provvedimenti riguardo la possibilità di avere un maggiore governo delle scorte alimentari, che consentirà di stabilizzare i prezzi. Ma c’è un secondo aspetto, pure grave, che ci riguarda direttamente.

Quale?
La questione della povertà alimentare è diventata drammatica negli ultimi due anni soprattutto in Italia: i dati ufficiali di Eurostat hanno segnalato, tra il 2010 e il 2011, numeri molto elevati di persone che non solo patiscono la fame, ma sono addirittura denutrite (non sono in grado di garantirsi un pasto a base di carne, pollo o pesce almeno una volta ogni due giorni). Le categorie sociali che fanno più fatica a alimentarsi in modo corretto sono le persone sole e anziane, in prevalenza donne, e le famiglie con figli. È vero che abbiamo ottenuto risultati sul deficit e su altri aspetti, ma è documentato da fonti ufficiali europee che in particolare in Italia la percentuale di popolazione che fa fatica a mangiare è esplosa. Queste forme di deprivazione inevitabilmente ricadono sui figli e ciò accade nella evoluta Italia, Milano compresa.

Il Cardinale denuncia anche la «finanziarizzazione» dei prezzi e la «deregolamentazione delle operazioni finanziarie». Come intervenire oggi su questi fenomeni?
Negli Stati Uniti stanno facendo qualche faticoso passo avanti con la legislazione di Paul Volker, presidente della Riserva Federale, che ha introdotto alcune regole che dovrebbero (uso il condizionale) governare meglio il mercato dei derivati. George Soros, uno dei massimi economisti internazionali, consapevole dei pericoli che comportano, alcuni anni fa ha dato una definizione dei derivati, rimasta celebre: li ha chiamati «armi di distruzione di massa». Noi che abbiamo i trattati sulle bombe nucleari, non vedo perché non possiamo averli sui derivati e su tutte le operazioni finanziarie.

Al di là degli impegni a livello nazionale e internazionale, esiste anche una responsabilità personale, dice ancora Scola. Cosa ne pensa?
La responsabilità personale è sempre fondamentale, perché riguarda la sfera della partecipazione. È chiaro che uno da solo non cambia il mondo, ma tutti insieme sì. Come accade nell’espressione politica, quando un cittadino vota non influisce da solo sul risultato finale. Quello che accade in democrazia, avviene anche nella sfera dei rapporti solidali tra le persone, che possono davvero cambiare il mondo. Come una cattiva democrazia avvelena la politica, così una debolezza della solidarietà rende più difficile la convivenza. 

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