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Asia

La crisi coreana:
Pyongyang cerca nemici

Le minacce, compresa quella nucleare, servono ad alzare il prezzo con la comunità internazionale per ricevere aiuti economici, ma i rapporti con Corea del Sud, Giappone e Stati Uniti si stanno deteriorando

2 Aprile 2013

Anche la Cina, alleato storico della Corea del Nord, ha preso le distanze dal regime di Pyongyang, che ha esteso in questi giorni le sue minacce belliche anche nei confronti del Giappone. Il portavoce del ministero degli Esteri cinese, Hong Lei, ha affermato: «Speriamo che la parte interessata mantenga la calma e agisca e parli in modo cauto e prudente senza prendere quelle misure che potrebbero peggiorare ulteriormente la situazione». Rispetto alla strategia messa in campo dal regime nord-coreano – che è ventennale e che ha sempre mirato a operare un ricatto nei confronti della comunità internazionale, per ottenere aiuti di carattere economico in cambio della rinuncia a usare la forza militare – la Cina nutre due preoccupazioni preminenti. La prima attiene alla necessità di salvaguardare l’esistenza di uno Stato che di per sé costituisce un formidabile deterrente rispetto alla presenza ingombrante degli Stati Uniti nell’area, supportata dall’alleato Corea del Sud. La seconda deriva dal timore che un’eventuale crisi del regime di Pyongyang possa destabilizzare il Paese e costringere milioni di nord-coreani a trovare riparo nel territorio cinese, aumentando così i problemi e le tensioni che la Cina vive in questo periodo.

L’apprezzamento della Russia

Dopo la presa di posizione nord-coreana – «d’ora in poi – aveva scritto in una nota di due settimane or sono il governo di Pyongyang – le relazioni intercoreane sono in stato di guerra e tutti i problemi tra le due Coree saranno trattati secondo un protocollo di tempi di guerra» – la Russia, tramite il suo incaricato del Ministero degli Esteri per la Corea del Nord, Grigori Logvinov, aveva dichiarato: «Ci aspettiamo dalle due parti la massima responsabilità e moderazione e che nessuno superi il punto di non ritorno», riconoscendo l’equilibrio della reazione di Stati Uniti e Corea del Sud e sostenendo la non irreversibilità della situazione proprio in ragione della risposta data alla minaccia nord-coreana. Putin, che nei giorni scorsi ha ricevuto al Cremlino il nuovo presidente cinese Xi Jinping, è impegnato a rafforzare l’alleanza con gli altri Paesi del Brics, le economie emergenti (insieme alla Russia, il Brasile, la Cina, l’India, il Sudafrica). Di questa strategia fa parte il palese interesse del leader del Cremlino di trovare soluzioni alle aree di crisi della politica globale. L’area nord-coreana è tra queste e Russia e Cina, membri permanenti del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite – peraltro entrambe impegnate in dispute territoriali con il Giappone, rispettivamente per le isole Curili e per la sovranità sulle Senakaku-Diaoyu – si sono schierate a favore delle sanzioni contro il regime di Pyongyang.

Il nemico giapponese

Non sorprende l’annuncio della Corea del Nord di attaccare le basi americane di Misawa, Yokosuka e di Okinawa, in Giappone. È fisiologico per un regime dittatoriale aumentare la lista dei nemici e, nel caso del Giappone, si tratta di una specie di nemesi storica. Nel 1905, la penisola coreana divenne protettorato giapponese e nel 1910 subì l’annessione, divenendo colonia dell’impero giapponese, con il nome di Chōsen. Il dominio coloniale finì formalmente con la resa del Giappone nella seconda guerra mondiale, terminando di fatto solo nel 1952, con l’inizio della Guerra Fredda e del conflitto tra i due Stati che si formarono. Il ricordo nefasto del dominio giapponese si racchiude nella definizione che sia in Corea del Nord sia nella Corea del Sud si adopera per quella fase storica: “Periodo di occupazione forzata da parte dell’imperialismo giapponese”. Furono circa 750 mila i coreani posti ai lavori forzati in quel periodo, per sostituire nelle fabbriche e nelle miniere del Giappone gli uomini partiti per il fronte; si stima che quasi un terzo delle vittime di Hiroshima e Nagasaki fossero lavoratori forzati coreani e che siano state almeno 300 mila le donne coreane deportate in modo forzoso. Persino la Corea del Sud, da alcuni decenni chiede l’ammissione completa delle proprie responsabilità, l’apertura degli archivi, finora rimasti segreti e una qualche forma di risarcimento da parte del Giappone, che si è limitato, in più di un’occasione a porgere solo le scuse ufficiali per quel periodo di occupazione. Oggi il Giappone è in linea con la posizione espressa dagli Stati Uniti. Obama ha dichiarato che entrambi i Paesi risponderanno con “azioni forti” alla Corea del Nord e il primo ministro nipponico, Shinzo Abe, dopo un incontro alla Casa Bianca, avvenuto a febbraio, ha affermato: «Non possiamo tollerare il lancio di missili e la conduzione di test nucleari».

È reale la minaccia nord-coreana?

Non si è fatta attendere la risposta della Corea del Nord al Giappone e agli Stati Uniti, che in accordo con l’alleato sud-coreano, hanno spostato i caccia F-22, che normalmente fanno base in Giappone, a Kadena, come deterrente alle provocazioni che ci sono state, annunciando anche che i marines della Corea del Sud e americani compiranno un nuovo ciclo di manovre militari in aprile – nell’ambito delle esercitazioni annuali Foal Eagle – per «affinare le capacità nelle operazioni di sbarco e tattiche, e di manovra delle unità meccanizzate».

Quale consistenza hanno le provocazioni nord-coreane? Una delle fonti più accreditate, l’Ispri, un istituto internazionale indipendente impegnato in ricerche nel settore dei conflitti, degli armamenti, del loro controllo e del disarmo, con sede a Stoccolma, afferma nel suo rapporto 2012 che la Corea del Nord ha dimostrato di essere in possesso di capacità nucleari militari. «Tuttavia – scrive l’Ispri – non ci sono informazioni pubbliche relative alla reale disponibilità di armi atomiche operative». Alla fine del 2011 si stimava che la Corea del Nord fosse in possesso di circa 30 chilogrammi di plutonio, sufficienti a costruire fino a otto armi nucleari, a seconda del tipo di modello e competenze ingegneristiche applicate. Secondo un rapporto del 2011 prodotto da un gruppo di esperti incaricati dal Consiglio di Sicurezza dell’Onu e poi trapelato, il Paese ha lavorato a un programma di arricchimento dell’uranio «per diversi anni o addirittura decenni». Non è noto se la Corea del Nord sia riuscita nella produzione di uranio arricchito a scopo militare. Resta il fatto che la politica spregiudicata del regime di Pyongyang costituisce fonte di destabilizzazione permanente dell’intera area del Sud-Est asiatico.