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Intervista

Giovagnoli: «La pace non è un’utopia buonista, ma una necessità assoluta»

A 100 anni dalla fine della Grande guerra e in occasione della Giornata mondiale istituita nel 1968 da Paolo VI («instancabile testimone»), lo storico della Cattolica sottolinea: «Annunciare la pace significa annunciare il Vangelo. La Chiesa deve stimolare Stati, popoli e individui a impegnarsi in questo senso»

di Annamaria Braccini

30 Dicembre 2018
Una Marcia della Pace Perugia - Assisi

A 100 anni dalla fine della Grande guerra stiamo davvero vivendo una III guerra mondiale “a pezzi”? Quale è oggi la percezione sui temi della pace universale? Come si pongono i cristiani nel dibattito attuale? Tutte questioni di evidente e cruciale centralità per la vita e la coscienza di ciascuno, sulle quali – osserva Agostino Giovagnoli, professore ordinario di Storia contemporanea presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore – la Chiesa ha molto da dire e da offrire.

La Giornata della Pace fu istituita da Paolo VI e celebrata per la prima volta l’1 gennaio 1968. Quale era il contesto internazionale nel quale Montini la concepì?
Paolo VI vide nell’annuncio e nell’azione per la pace un compito fondamentale della Chiesa, perché Gesù è il Principe della Pace e annunciare la pace significa annunciare il Vangelo. Montini ha così còlto l’attesa, da parte del mondo del suo tempo, per una Chiesa che, come autorità morale, poteva e può parlare di pace e operare per essa in modo credibile. Davanti al terrore nucleare prodotto della Guerra Fredda, il Papa condivise la convinzione che fosse possibile abolire la guerra e ritenne che l’impegno della Chiesa, in questo senso, dovesse essere massimo. In tale contesto maturò il suo discorso all’Onu, durante il quale egli pronunciò il triplice accorato appello – «Mai più la guerra!» -, presentando la Chiesa come «esperta di umanità» capace – per la saggezza che le derivava da una millenaria esperienza – di rivolgersi a tutti i popoli della terra. Da allora Paolo VI è stato un instancabile testimone di pace e in questa prospettiva ha promosso le Giornate mondiali che durano ancora oggi, non per affermare una sorta di monopolio “ecclesiastico” su questo tema, ma per stimolare tutti – Stati, popoli, individui – a impegnarsi.

Benedetto XV definì la prima guerra mondiale «l’inutile strage». Strage che interrogò anche la Chiesa universale in rapporto alle Chiese locali, spesso schierate, con pronunciamenti pubblici delle singole gerarchie ecclesiastiche, a fianco dei propri Paesi contro altri…
La definizione della guerra come inutile strage fu percepita come una sferzata da parte dei governi europei allora impegnati nella guerra. E a ragione. Con quelle parole papa Benedetto svelò che “il Re era nudo”. Oggi, la storiografia gli dà ragione, parlando di “sonnambulismo” delle classi dirigenti che portarono l’Europa all’autodistruzione.

Nel messaggio per Giornata della Pace 2019 papa Francesco ricorda il 70mo anniversario della Dichiarazione universale dei Diritti dell’Uomo. Quale rapporto c’è tra il rispetto della persona e la promozione di una pace duratura?
Francesco ha scritto che «la pace si basa sul rispetto di ogni persona, qualunque sia la sua storia, sul rispetto del diritto e del bene comune, del creato che ci è stato affidato e della ricchezza morale trasmessa dalle generazioni passate». La sua prospettiva oltrepassa il tradizionale auspicio che i diritti umani siano tutelati dagli Stati. Nell’ottica della superiorità del tempo sullo spazio e dell’impegno ad avviare concreti processi storici, questo Papa vede nella “buona” politica uno strumento essenziale per sconvolgere assetti di ingiustizia e perseguire, contemporaneamente, il rispetto dei diritti e l’affermazione della pace. Si tratta di una politica opposta a quella oggi prevalente. Non a caso, Francesco è molto chiaro nell’affermare l’inaccettabilità di «discorsi politici che tendono ad accusare i migranti di tutti i mali e a privare i poveri della speranza».

Il Papa parla spesso di una terza guerra mondiale che si sta sviluppando “a pezzi” nel pianeta. Eppure, sembra che il tema della pace non sia così urgente, nella riflessione diffusa, come qualche decennio fa. È anche la sua impressione?
Oggi la guerra sta diventando “normale”. Siamo, cioè, sempre più disposti a considerarla come una realtà ineliminabile e diffusa, mentre la pace sarebbe un’eccezione. È il rovesciamento della grande spinta diffusasi nel mondo dopo la seconda guerra mondiale, quando molte Costituzioni – compresa quella italiana all’articolo 11 – bandirono la guerra come strumento “ordinario” di soluzione delle controversie internazionali. L’immagine di una terza guerra mondiale, sia pure a pezzi, scuote questa colpevole rassegnazione e ci richiama all’inaccettabilità della guerra. È impressionante, per esempio, l’inerzia della comunità internazionale riguardo alla guerra “infinita” in corso da anni in Siria. La pace non è un’utopia buonista, come si usa dire oggi, ma una necessità assoluta, di cui gli uomini e le donne sembrano rendersi conto solo quando questo flagello si abbatte su di loro.

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