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Esteri

Europa, il miglior compromesso

Dal 1° dicembre in vigore il Trattato di Lisbona

di Gianni BORSA Redazione

1 Dicembre 2009

L’entrata in vigore del Trattato di Lisbona è stata salutata con entusiasmo da parte dei cittadini e delle forze politiche di “fede europeista”, sull’onda della convinzione che finalmente l’Ue abbia così raggiunto una piena maturità politica, un più chiaro profilo giuridico e istituzionale, basi più solide per proseguire il processo di integrazione avviato nel secondo dopoguerra. D’altro canto, Lisbona è ritenuto una sciagura da chi all’Europa comunitaria non crede, giudicando ogni parziale cessione di sovranità verso Bruxelles “l’inizio della fine” dell’integrità nazionale a tutto vantaggio di un “superstato” lontano dai cittadini.
Ovviamente né l’uno né l’altro estremo aiutano a comprendere una realtà che è ben più articolata di ogni faziosa semplificazione. Occorre piuttosto fare i conti con le concrete acquisizioni e, per converso, con i veri punti deboli del Trattato. Le centinaia di pagine di testo certo non favoriscono una lettura “popolare” dell’articolato (del resto quanti sono gli italiani che hanno mai letto la Costituzione repubblicana e quanti possono affermare di conoscerla davvero?), ma qualche elemento portante balza all’occhio. L’entrata in vigore del Trattato di Lisbona è stata salutata con entusiasmo da parte dei cittadini e delle forze politiche di “fede europeista”, sull’onda della convinzione che finalmente l’Ue abbia così raggiunto una piena maturità politica, un più chiaro profilo giuridico e istituzionale, basi più solide per proseguire il processo di integrazione avviato nel secondo dopoguerra. D’altro canto, Lisbona è ritenuto una sciagura da chi all’Europa comunitaria non crede, giudicando ogni parziale cessione di sovranità verso Bruxelles “l’inizio della fine” dell’integrità nazionale a tutto vantaggio di un “superstato” lontano dai cittadini.Ovviamente né l’uno né l’altro estremo aiutano a comprendere una realtà che è ben più articolata di ogni faziosa semplificazione. Occorre piuttosto fare i conti con le concrete acquisizioni e, per converso, con i veri punti deboli del Trattato. Le centinaia di pagine di testo certo non favoriscono una lettura “popolare” dell’articolato (del resto quanti sono gli italiani che hanno mai letto la Costituzione repubblicana e quanti possono affermare di conoscerla davvero?), ma qualche elemento portante balza all’occhio. L’accordo L’accordo raggiunto nella capitale portoghese nel 2007, poi ratificato dai 27 Stati membri e divenuto vincolante dal 1° dicembre, definisce per esempio le regole di funzionamento di una “casa comune” ampliatasi dopo la caduta del Muro di Berlino, cresciuta per numero di nazioni aderenti, con 500 milioni di cittadini e con una maggior dote di competenze (dall’agricoltura alle infrastrutture, dalla ricerca alla tutela della sicurezza fino alla salute dei consumatori). Lisbona delimita inoltre i rapporti tra le istituzioni dell’Unione (Consiglio, Parlamento, Commissione), nonché fra queste e gli Stati membri.Dal 1° dicembre, poi, sono individuate alcune norme per rendere più trasparente l’Ue. Altrettanto rilevanti vanno considerate le innovazioni introdotte dalla Carta dei diritti fondamentali allegata al testo, la quale conferisce valore cogente a diritti e libertà irrinunciabili. Una nota particolare riguarda il fatto che l’articolo 17 struttura finalmente rapporti stabili e reciprocamente rispettosi fra l’Ue e le Chiese presenti nel vecchio continente. Il metodo La nuova “legge quadro” mette però in luce interrogativi su questioni di grande rilevanza: si pensi alla confermata preminenza del “metodo intergovernativo” rispetto a quello “comunitario”, traducibile nel fatto che il timone della costruzione europea resta in mano alle cancellerie piuttosto che ai cittadini e alle istituzioni comuni. La conferma viene dal fatto che il principale organo politico e decisionale resta il Consiglio europeo, dove siedono i governi nazionali, piuttosto che l’Europarlamento, eletto dai cittadini, oppure la Commissione, “governo dell’Unione”, posta al servizio del “bene comune europeo” rispetto al più angusto e spesso confliggente interesse dei singoli Paesi.È inoltre possibile rilevare, su questa strada, come le due nuove figure istituzionali create dal Trattato – il presidente “stabile” del Consiglio e l’Alto rappresentante della politica estera e di sicurezza – risultano indebolite sin dai loro primi passi, non disponendo di un preciso “statuto” e di competenze sufficientemente definite. Senza poi entrare nel merito dei tanti settori politici esclusi, in parte o in toto, dalle competenze comunitarie, quali la difesa, il fisco, l’immigrazione, come se oggi, in tali ambiti, ciascun Paese potesse “fare da sé” di fronte a sfide che travalicano i confini nazionali e persino continentali.Si può allora confermare che il Trattato di riforma appare quale il miglior compromesso attualmente raggiungibile sulla scena europea. Ma non si può negare come esso abbia smarrito – o almeno per ora accantonato – lo “spirito costituente” che aveva attraversato l’Europa nell’ultimo decennio. Ugualmente Lisbona non assegna ai cittadini quella centralità politica che essi dovrebbero avere in una costruzione democratica. Resta dunque più che mai attuale il monito di ispirazione risorgimentale secondo il quale, “fatta l’Europa, occorre fare gli europei”. – – Inizia una nuova epoca