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Medio Oriente

Cosa può fare l’Unione Europea?

In attesa del pellegrinaggio del Papa in Terra Santa, si apre l'Assemblea Comece che parlerà dei conflitti in quell'area

Carlo ROSSI Redazione

17 Marzo 2009

“Conflitti in Medio Oriente e in Asia del Sud. Cosa può fare l’Unione europea?”: è questo il tema che fa da sfondo all’Assemblea plenaria di primavera della Commissione degli episcopati della comunità europea (Comece), dal 18 al 20 marzo a Bruxelles. Tra gli interventi, quello di Otmar Oehring, direttore del servizio “diritti umani” dell’organizzazione tedesca Missio, su “La situazione dei cristiani in Medio Oriente e in Asia del Sud”. Ce ne parla.

Il Papa visiterà la Terra Santa dall’8 al 15 maggio. Quali sono il significato e le prospettive di questo viaggio apostolico per le comunità cristiane locali?
La visita del Papa è per i cristiani del Medio Oriente un segno di incoraggiamento in una situazione difficile o percepita come tale. Sarebbe tuttavia sbagliato attendersi miracoli da questa visita del Santo Padre, per quanto concerne il futuro dei cristiani in Terra Santa. Basti ricordare che per i cristiani e le Chiese in Turchia, la visita del Papa in Turchia a fine 2006 non ha avuto conseguenze concrete per la loro vita e la loro sopravvivenza.

Da tempo il numero dei cristiani mediorientali diminuisce a causa dell’emigrazione. Quali sono le cause di questo fenomeno e quali conseguenze può provocare?
Le cause sono molteplici. Non va sottovalutato l’andamento demografico generale: mentre nelle famiglie islamiche, particolarmente quelle più orientate alla tradizione e alla religione, avere molti figli è ancora la norma, il numero di figli nelle famiglie cristiane è diminuito nell’arco degli ultimi decenni – anche in conseguenza del loro livello d’istruzione più elevato. Ma anche le condizioni generali politiche, che spesso ostacolano la decisione di rimanere nella regione, hanno inciso in modo significativo sul fenomeno. Il crescente influsso di gruppi islamici radicali – come gli Hezbollah in Libano o Hamas in Palestina, e il pericolo latente di un aumento dell’influsso della fratellanza islamica in Paesi come l’Egitto o la Siria – palesano costantemente ai cristiani che non è possibile prevedere chiaramente le loro prospettive di futuro nei propri Paesi d’origine. Attualmente, un caso particolare è rappresentato dall’Iraq, in cui i cristiani – perlomeno in determinate aree, come Baghdad e Bassora, ma anche Mossul – sono vittime di azioni di pulizia etnica.

Si può parlare di una persecuzione vera e propria dei cristiani in Medio Oriente?
L’uso generalizzato della parola “persecuzione” relativamente alla situazione dei cristiani in Medio Oriente è certamente problematico. Persino nei territori dell’Iraq che ho menzionato non è un singolo cristiano qualsiasi ad essere minacciato direttamente. Il vescovo latino di Baghdad, mons. Jean Sleiman, ha puntualizzato al riguardo, e sicuramente con ragione, che i cristiani iracheni che non sono stati vittime in modo diretto di violenza e minacce, sono diventati vittime di una psicosi e si sentono come se fossero anch’essi vittime di violenza e minacce concrete. Questo senso di insicurezza, se non addirittura paura latente del futuro, è molto diffuso nei cristiani del Medio Oriente. Non sono pochi quelli che vivono letteralmente con le valige già pronte.

Quale ruolo può svolgere l’Europa per favorire una migliore integrazione e accettazione delle comunità cristiane?
L’Europa deve orientarsi alla nuova politica Usa sul Medio Oriente e puntare tutto sulla promozione di un cambiamento sostanziale e duraturo della politica occidentale. Senza una soluzione del conflitto palestinese non è possibile risolvere anche gli altri conflitti e gli altri problemi dell’area. Ciò comporta anche ripensare i rapporti con la Siria e anche con l’Iran. Ampie fasce della popolazione di questi due Paesi – e in Siria anche gli alti vertici dello Stato – sembrano indubbiamente interessati a risolvere pacificamente i conflitti. Questa è l’unica via per addomesticare i gruppi radicali islamici, come Hezbollah e Hamas e ottenere una soluzione duratura dei conflitti. Solo allora potranno esserci prospettive di futuro migliori anche per i cristiani.

Quale aiuto concreto può offrire l’Europa e la comunità internazionale a coloro che abbandonano i loro Paesi?
I cristiani che non possono più rimpatriare, come i profughi iracheni, devono essere sostenuti dall’Europa e dalla comunità internazionale degli Stati in tutti i modi possibili, non solo a livello materiale. I cristiani che non possono più rientrare nella loro Patria e che non hanno prospettive di futuro – né a livello amministrativo, né materiale – neanche nei Paesi di prima accoglienza, come la Siria e la Giordania, devono poter vivere nei Paesi occidentali. Un gruppo di esperti incaricato dai ministri degli Interni Ue, che ha visitato la regione nel novembre del 2008, è giunto alla conclusione che 75 mila dei rifugiati iracheni, classificati dall’Unhcr (Alto Commissariato Nazioni Unite per i Rifugiati) come persone che necessitano particolare tutela – perlopiù appartenenti a minoranze non islamiche, ossia cristiani – devono essere accolti da Paesi non appartenenti alla regione. La raccomandazione deliberata a fine novembre 2008 dai ministri degli Interni Ue, per accogliere 10.000 di questi profughi, può essere considerata solo come un primo passo in tal senso. “Conflitti in Medio Oriente e in Asia del Sud. Cosa può fare l’Unione europea?”: è questo il tema che fa da sfondo all’Assemblea plenaria di primavera della Commissione degli episcopati della comunità europea (Comece), dal 18 al 20 marzo a Bruxelles. Tra gli interventi, quello di Otmar Oehring, direttore del servizio “diritti umani” dell’organizzazione tedesca Missio, su “La situazione dei cristiani in Medio Oriente e in Asia del Sud”. Ce ne parla.Il Papa visiterà la Terra Santa dall’8 al 15 maggio. Quali sono il significato e le prospettive di questo viaggio apostolico per le comunità cristiane locali?La visita del Papa è per i cristiani del Medio Oriente un segno di incoraggiamento in una situazione difficile o percepita come tale. Sarebbe tuttavia sbagliato attendersi miracoli da questa visita del Santo Padre, per quanto concerne il futuro dei cristiani in Terra Santa. Basti ricordare che per i cristiani e le Chiese in Turchia, la visita del Papa in Turchia a fine 2006 non ha avuto conseguenze concrete per la loro vita e la loro sopravvivenza.Da tempo il numero dei cristiani mediorientali diminuisce a causa dell’emigrazione. Quali sono le cause di questo fenomeno e quali conseguenze può provocare?Le cause sono molteplici. Non va sottovalutato l’andamento demografico generale: mentre nelle famiglie islamiche, particolarmente quelle più orientate alla tradizione e alla religione, avere molti figli è ancora la norma, il numero di figli nelle famiglie cristiane è diminuito nell’arco degli ultimi decenni – anche in conseguenza del loro livello d’istruzione più elevato. Ma anche le condizioni generali politiche, che spesso ostacolano la decisione di rimanere nella regione, hanno inciso in modo significativo sul fenomeno. Il crescente influsso di gruppi islamici radicali – come gli Hezbollah in Libano o Hamas in Palestina, e il pericolo latente di un aumento dell’influsso della fratellanza islamica in Paesi come l’Egitto o la Siria – palesano costantemente ai cristiani che non è possibile prevedere chiaramente le loro prospettive di futuro nei propri Paesi d’origine. Attualmente, un caso particolare è rappresentato dall’Iraq, in cui i cristiani – perlomeno in determinate aree, come Baghdad e Bassora, ma anche Mossul – sono vittime di azioni di pulizia etnica.Si può parlare di una persecuzione vera e propria dei cristiani in Medio Oriente?L’uso generalizzato della parola “persecuzione” relativamente alla situazione dei cristiani in Medio Oriente è certamente problematico. Persino nei territori dell’Iraq che ho menzionato non è un singolo cristiano qualsiasi ad essere minacciato direttamente. Il vescovo latino di Baghdad, mons. Jean Sleiman, ha puntualizzato al riguardo, e sicuramente con ragione, che i cristiani iracheni che non sono stati vittime in modo diretto di violenza e minacce, sono diventati vittime di una psicosi e si sentono come se fossero anch’essi vittime di violenza e minacce concrete. Questo senso di insicurezza, se non addirittura paura latente del futuro, è molto diffuso nei cristiani del Medio Oriente. Non sono pochi quelli che vivono letteralmente con le valige già pronte.Quale ruolo può svolgere l’Europa per favorire una migliore integrazione e accettazione delle comunità cristiane?L’Europa deve orientarsi alla nuova politica Usa sul Medio Oriente e puntare tutto sulla promozione di un cambiamento sostanziale e duraturo della politica occidentale. Senza una soluzione del conflitto palestinese non è possibile risolvere anche gli altri conflitti e gli altri problemi dell’area. Ciò comporta anche ripensare i rapporti con la Siria e anche con l’Iran. Ampie fasce della popolazione di questi due Paesi – e in Siria anche gli alti vertici dello Stato – sembrano indubbiamente interessati a risolvere pacificamente i conflitti. Questa è l’unica via per addomesticare i gruppi radicali islamici, come Hezbollah e Hamas e ottenere una soluzione duratura dei conflitti. Solo allora potranno esserci prospettive di futuro migliori anche per i cristiani.Quale aiuto concreto può offrire l’Europa e la comunità internazionale a coloro che abbandonano i loro Paesi?I cristiani che non possono più rimpatriare, come i profughi iracheni, devono essere sostenuti dall’Europa e dalla comunità internazionale degli Stati in tutti i modi possibili, non solo a livello materiale. I cristiani che non possono più rientrare nella loro Patria e che non hanno prospettive di futuro – né a livello amministrativo, né materiale – neanche nei Paesi di prima accoglienza, come la Siria e la Giordania, devono poter vivere nei Paesi occidentali. Un gruppo di esperti incaricato dai ministri degli Interni Ue, che ha visitato la regione nel novembre del 2008, è giunto alla conclusione che 75 mila dei rifugiati iracheni, classificati dall’Unhcr (Alto Commissariato Nazioni Unite per i Rifugiati) come persone che necessitano particolare tutela – perlopiù appartenenti a minoranze non islamiche, ossia cristiani – devono essere accolti da Paesi non appartenenti alla regione. La raccomandazione deliberata a fine novembre 2008 dai ministri degli Interni Ue, per accogliere 10.000 di questi profughi, può essere considerata solo come un primo passo in tal senso.