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Carcere e reinserimento

Casa della Carità: accoglienza dopo la pena

Da quattro anni la Fondazione collabora su questo fronte con il carcere di Bollate

Generoso SIMEONE Redazione

15 Aprile 2009

Da quattro anni un filo diretto lega il carcere di Bollate e la Casa della Carità. Il rapporto di collaborazione è stato sancito da un protocollo di intesa firmato nel 2005. L’accordo prevede la possibilità di ospitare, nella struttura di via Brambilla, quei detenuti dimessi dal penitenziario che, una volta fuori, non avrebbero un posto dove stare. L’obiettivo è dare a chi esce un riferimento solido per poter ripartire e reintegrarsi nella società. «Sono i cappellani o gli operatori sociali presenti in carcere a segnalarci le persone a fine pena che hanno bisogno di ospitalità – spiega Fiorenzo De Molli, responsabile dell’area Accoglienza della Casa della Carità -. Chi va in galera, a volte, non perde solo la libertà personale, ma ogni contatto col mondo esterno. Sono per lo più stranieri e italiani che hanno scontato una lunga detenzione. Noi ci rechiamo in carcere, li incontriamo e valutiamo la possibilità di riceverli».
In quattro anni la Casa della carità ha fatto 59 colloqui e accolto 15 persone. «Una volta inseriti da noi diventano a tutti gli effetti ospiti come gli altri – continua De Molli -. Quindi vengono coinvolti in quell’ospitalità attiva che caratterizza il nostro rapporto con le persone che abbiamo e cioè li rendiamo protagonisti del proprio reinserimento sociale finalizzato all’autonomia, abitativa e lavorativa».
La Casa della Carità non ha particolari criteri nel decidere chi accogliere. Non vengono prese persone con gravi problemi di salute, oppure affette da tossicodipendenza, in quanto la struttura non è in grado di gestire questo tipo di situazioni. Non ci sono quindi discriminanti dal punto di vista dei reati commessi. «Non abbiamo mai avuto problemi con queste persone – dice ancora Fiorenzo De Molli -. Alcuni più anziani li abbiamo aiutati a fare la domanda per avere un posto in una casa di riposo e adesso si trovano lì. Alcuni stranieri hanno deciso di tornare nel proprio paese e li abbiamo aiutati a sbrigare le pratiche per il rientro. Degli altri, tutti hanno trovato un lavoro e una propria abitazione. E spesso ci tornano a trovare. Uno si è addirittura sposato con una ragazza anche lei ospite in quel periodo alla Casa della Carità. Solo di uno abbiamo perso ogni contatto».
Il rapporto con il carcere di Bollate non si esaurisce nel protocollo di intesa. L’area Lavoro della Casa della Carità da tempo sta studiando un’iniziativa con il direttore del penitenziario, Lucia Castellano. Si tratta di dar vita a una cooperativa sociale nel settore della manutenzione case per dare un’occupazione ai detenuti di lunga percorrenza e pena definitiva, che possono usufruire del permesso di lavorare fuori dal carcere. Il progetto è in dirittura d’arrivo e sarà avviato nei prossimi mesi. Da quattro anni un filo diretto lega il carcere di Bollate e la Casa della Carità. Il rapporto di collaborazione è stato sancito da un protocollo di intesa firmato nel 2005. L’accordo prevede la possibilità di ospitare, nella struttura di via Brambilla, quei detenuti dimessi dal penitenziario che, una volta fuori, non avrebbero un posto dove stare. L’obiettivo è dare a chi esce un riferimento solido per poter ripartire e reintegrarsi nella società. «Sono i cappellani o gli operatori sociali presenti in carcere a segnalarci le persone a fine pena che hanno bisogno di ospitalità – spiega Fiorenzo De Molli, responsabile dell’area Accoglienza della Casa della Carità -. Chi va in galera, a volte, non perde solo la libertà personale, ma ogni contatto col mondo esterno. Sono per lo più stranieri e italiani che hanno scontato una lunga detenzione. Noi ci rechiamo in carcere, li incontriamo e valutiamo la possibilità di riceverli».In quattro anni la Casa della carità ha fatto 59 colloqui e accolto 15 persone. «Una volta inseriti da noi diventano a tutti gli effetti ospiti come gli altri – continua De Molli -. Quindi vengono coinvolti in quell’ospitalità attiva che caratterizza il nostro rapporto con le persone che abbiamo e cioè li rendiamo protagonisti del proprio reinserimento sociale finalizzato all’autonomia, abitativa e lavorativa».La Casa della Carità non ha particolari criteri nel decidere chi accogliere. Non vengono prese persone con gravi problemi di salute, oppure affette da tossicodipendenza, in quanto la struttura non è in grado di gestire questo tipo di situazioni. Non ci sono quindi discriminanti dal punto di vista dei reati commessi. «Non abbiamo mai avuto problemi con queste persone – dice ancora Fiorenzo De Molli -. Alcuni più anziani li abbiamo aiutati a fare la domanda per avere un posto in una casa di riposo e adesso si trovano lì. Alcuni stranieri hanno deciso di tornare nel proprio paese e li abbiamo aiutati a sbrigare le pratiche per il rientro. Degli altri, tutti hanno trovato un lavoro e una propria abitazione. E spesso ci tornano a trovare. Uno si è addirittura sposato con una ragazza anche lei ospite in quel periodo alla Casa della Carità. Solo di uno abbiamo perso ogni contatto».Il rapporto con il carcere di Bollate non si esaurisce nel protocollo di intesa. L’area Lavoro della Casa della Carità da tempo sta studiando un’iniziativa con il direttore del penitenziario, Lucia Castellano. Si tratta di dar vita a una cooperativa sociale nel settore della manutenzione case per dare un’occupazione ai detenuti di lunga percorrenza e pena definitiva, che possono usufruire del permesso di lavorare fuori dal carcere. Il progetto è in dirittura d’arrivo e sarà avviato nei prossimi mesi.