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Società

«Bullo e vittima: entrambi soggetti deboli»

Un fenomeno periodicamente evidenziato dalle cronache, ma spesso analizzato in maniera distorta. Il parere della pedagogista Erica Valsecchi: «Sia l'adolescente che compie questi atti, sia quello che li subisce non è ancora formato dal punto di vista personale e sociale»

Luisa BOVE Redazione

6 Aprile 2009

La cronaca registra ancora fenomeni di bullismo, ma non è un problema nuovo, anche se in passato veniva denominato in modo diverso. «Tutto però finiva nello stesso calderone del vandalismo», dice la pedagogista Erica Valsecchi. Negli anni Ottanta e Novanta sociologi e psicologi del Nord Europa hanno chiarito che il bullismo era limitato ad alcune azioni e a una precisa fascia di età. «Da noi il fenomeno è esploso due anni fa: problematiche giovanili e disagio sono aumentati, ma gli strumenti mediatici li hanno amplificati».

Il bullismo però non va confuso con scherzi e azioni goliardiche…
Quando si scherza si gioca tutti insieme, il bullismo invece è l’atto intenzionale di fare del male e ripetuto nel tempo. L’altra parte non ride più. Quando sui giornali o in tv viene descritto un episodio eclatante come atto di bullismo in realtà non è così, perché ci dovrebbe essere una vicenda ripetuta su una vittima particolare o su più vittime da parte di tre o più ragazzi.

Lei considera i bulli e le vittime entrambi soggetti “deboli”. Perché?
Un adolescente diventa vittima non soltanto perché è sfortunato o si trova in un ambiente difficile, ma perché di fronte a un pericolo imminente e chiaro non è capace di difendersi, è fragile e non è ancora formato dal punto di vista personale e sociale, nonostante la sua età. I bulli però non vanno solo puniti (guai se non ci fosse la sanzione), ma anche aiutati, perché se un ragazzo riesce a compiere azioni così violente e a goderne nasconde fragilità anche più gravi di quella della sua vittima. A volte nei bulli c’è una mancanza di senso e di contatto con se stessi quasi totale, anche rispetto alle proprie emozioni. Per loro occorrono quindi punizioni rieducative e un percorso, altrimenti si perdono.

Quali sono le conseguenze di aggressioni, minacce ed estorsioni su un minore?
La situazione è grave quando le azioni sono ripetute nel tempo. Innanzitutto bisogna capire se la vittima subisce da un mese o più. Mi è capitato di parlare con ragazzini che subivano da tre anni e questo è un problema anche nella costruzione dell’identità: nelle vittime rimangono profonde fragilità. Diventa difficile per un ragazzo fidarsi degli altri, avere relazioni positive e crearsi amicizie su una base solidale. C’è sempre la paura profonda di non essere adeguato, di non saper stare con i coetanei.

Il mondo adulto cosa riesce a fare?
È un po’ carente. Se il bullismo esiste è perché molti modelli di riferimento sono venuti a cadere nel tempo. Cosa possiamo fare? Tantissimo, l’importante è non diventare tecnici, limitandosi ad applicare regole e teorie pedagogiche. Gli adulti devono prima di tutto creare una relazione autentica con i ragazzi, siano essi genitori, insegnanti o preti. La cronaca registra ancora fenomeni di bullismo, ma non è un problema nuovo, anche se in passato veniva denominato in modo diverso. «Tutto però finiva nello stesso calderone del vandalismo», dice la pedagogista Erica Valsecchi. Negli anni Ottanta e Novanta sociologi e psicologi del Nord Europa hanno chiarito che il bullismo era limitato ad alcune azioni e a una precisa fascia di età. «Da noi il fenomeno è esploso due anni fa: problematiche giovanili e disagio sono aumentati, ma gli strumenti mediatici li hanno amplificati».Il bullismo però non va confuso con scherzi e azioni goliardiche…Quando si scherza si gioca tutti insieme, il bullismo invece è l’atto intenzionale di fare del male e ripetuto nel tempo. L’altra parte non ride più. Quando sui giornali o in tv viene descritto un episodio eclatante come atto di bullismo in realtà non è così, perché ci dovrebbe essere una vicenda ripetuta su una vittima particolare o su più vittime da parte di tre o più ragazzi.Lei considera i bulli e le vittime entrambi soggetti “deboli”. Perché?Un adolescente diventa vittima non soltanto perché è sfortunato o si trova in un ambiente difficile, ma perché di fronte a un pericolo imminente e chiaro non è capace di difendersi, è fragile e non è ancora formato dal punto di vista personale e sociale, nonostante la sua età. I bulli però non vanno solo puniti (guai se non ci fosse la sanzione), ma anche aiutati, perché se un ragazzo riesce a compiere azioni così violente e a goderne nasconde fragilità anche più gravi di quella della sua vittima. A volte nei bulli c’è una mancanza di senso e di contatto con se stessi quasi totale, anche rispetto alle proprie emozioni. Per loro occorrono quindi punizioni rieducative e un percorso, altrimenti si perdono.Quali sono le conseguenze di aggressioni, minacce ed estorsioni su un minore?La situazione è grave quando le azioni sono ripetute nel tempo. Innanzitutto bisogna capire se la vittima subisce da un mese o più. Mi è capitato di parlare con ragazzini che subivano da tre anni e questo è un problema anche nella costruzione dell’identità: nelle vittime rimangono profonde fragilità. Diventa difficile per un ragazzo fidarsi degli altri, avere relazioni positive e crearsi amicizie su una base solidale. C’è sempre la paura profonda di non essere adeguato, di non saper stare con i coetanei.Il mondo adulto cosa riesce a fare?È un po’ carente. Se il bullismo esiste è perché molti modelli di riferimento sono venuti a cadere nel tempo. Cosa possiamo fare? Tantissimo, l’importante è non diventare tecnici, limitandosi ad applicare regole e teorie pedagogiche. Gli adulti devono prima di tutto creare una relazione autentica con i ragazzi, siano essi genitori, insegnanti o preti. – Per famiglie fragili necessarie nuove competenze –

Erica Valsecchi