Share

Immigrazione

A quale titolo la Chiesa parla?

Due motivazioni dietro l'inusuale presa di posizione dei vescovi lombardi sul pacchetto sicurezza: la Chiesa, maestra d'umanità, pensa all'uomo, a�ogni uomo, e non si tira mai indietro nell'offrire sostegno e accoglienza ai migranti, anche clandestini. Un impegno concreto che deve essere riconosciuto

Don Roberto DAVANZO Direttore della Caritas Ambrosiana Redazione

9 Luglio 2009

A fronte dell’inusuale pronunciamento dei vescovi lombardi a proposito del “pacchetto sicurezza” può essere non retorico chiedersi il perché di una tale presa di posizione. A che titolo la Chiesa ha il diritto di intervenire su di una questione così complessa e oggetto di contrapposizione politica? Ha poi così senso rischiare di essere strumentalizzata da una parte o dall’altra?
Non credo si tratti di questioni di maniera dal momento che non è difficile imbattersi in reazioni sferzanti – spesso provenienti da ambiti del cattolicesimo – a fronte di dichiarazioni che vanno a impattare su questioni attinenti il costume o le scelte politiche.
La Chiesa dunque ha il diritto-dovere di intervenire in materia di politica dell’immigrazione per almeno due motivi.
Il primo è che da sempre la Chiesa – non per suo merito, ma per il dono del Vangelo – si pone in mezzo agli uomini come maestra di umanità, senza la pretesa di imporre ad alcuno la propria visione delle cose, ma sempre impegnata a mostrare la ragionevolezza e la fondatezza razionale del modo di pensare all’uomo, a ogni uomo, che le deriva dalla rivelazione biblica.
Ma, se questo motivo non dovesse essere sufficientemente convincente, allora è necessario metterci di fronte a un dato di fatto inequivocabile e innegabile: la Chiesa può parlare di politiche migratorie almeno a motivo delle energie che da sempre mette in gioco a favore di un fenomeno che il nostro Paese sta vivendo con un ritardo di alcuni decenni rispetto ai più grandi Paesi europei. Un fenomeno che spesso l’Italia ha subito e che ancora oggi stenta a governare in modo efficace e non ideologico. Inoltre, la Chiesa può parlare anche di quel segmento che è l’immigrazione clandestina e di fronte al quale non si è mai tirata indietro nell’offrire sostegno e accoglienza a uomini e donne che per lo Stato formalmente erano degli “invisibili” e da domani saranno responsabili di un reato. A fronte dell’inusuale pronunciamento dei vescovi lombardi a proposito del “pacchetto sicurezza” può essere non retorico chiedersi il perché di una tale presa di posizione. A che titolo la Chiesa ha il diritto di intervenire su di una questione così complessa e oggetto di contrapposizione politica? Ha poi così senso rischiare di essere strumentalizzata da una parte o dall’altra?Non credo si tratti di questioni di maniera dal momento che non è difficile imbattersi in reazioni sferzanti – spesso provenienti da ambiti del cattolicesimo – a fronte di dichiarazioni che vanno a impattare su questioni attinenti il costume o le scelte politiche.La Chiesa dunque ha il diritto-dovere di intervenire in materia di politica dell’immigrazione per almeno due motivi.Il primo è che da sempre la Chiesa – non per suo merito, ma per il dono del Vangelo – si pone in mezzo agli uomini come maestra di umanità, senza la pretesa di imporre ad alcuno la propria visione delle cose, ma sempre impegnata a mostrare la ragionevolezza e la fondatezza razionale del modo di pensare all’uomo, a ogni uomo, che le deriva dalla rivelazione biblica.Ma, se questo motivo non dovesse essere sufficientemente convincente, allora è necessario metterci di fronte a un dato di fatto inequivocabile e innegabile: la Chiesa può parlare di politiche migratorie almeno a motivo delle energie che da sempre mette in gioco a favore di un fenomeno che il nostro Paese sta vivendo con un ritardo di alcuni decenni rispetto ai più grandi Paesi europei. Un fenomeno che spesso l’Italia ha subito e che ancora oggi stenta a governare in modo efficace e non ideologico. Inoltre, la Chiesa può parlare anche di quel segmento che è l’immigrazione clandestina e di fronte al quale non si è mai tirata indietro nell’offrire sostegno e accoglienza a uomini e donne che per lo Stato formalmente erano degli “invisibili” e da domani saranno responsabili di un reato. I diritti di ogni essere umano In questo senso mi piacerebbe parlare delle mense per i poveri, dei corsi di italiano, dei presidi medici e farmaceutici gestiti da realtà del mondo cattolico che non hanno mai condizionato la loro opera a un permesso di soggiorno. Così come mi piacerebbe parlare dei doposcuola che accompagnano ragazzi figli di stranieri regolari e irregolari nel difficile cammino di una integrazione tanto evocata quanto priva di mezzi per potersi attuare. O dell’accoglienza rivolta sempre a ragazzi stranieri dagli oratori estivi, grembo straordinario da cui potrà nascere quell’umanità mista e meticcia che ci attende dietro l’angolo.La Chiesa in tutti questi anni, lungi dal favorire l’immigrazione clandestina, ha semplicemente preso atto della presenza di queste persone che, se non possedevano certi diritti di cittadinanza, non per questo erano privi dei diritti che appartengono a ogni essere umano. Una cura e un accompagnamento che sono andati nel senso di preparare il terreno perché, quando avessero acquistato il permesso di soggiornare sul nostro territorio, potessero trovarsi con una sufficiente “attrezzatura” culturale.Perdonate la polemica, ma qualcuno ha mai provato a immaginare che cosa potrebbe accadere nei nostri paesi e nelle nostre città se all’improvviso mense, oratori, strutture di accoglienza, ambulatori, doposcuola… dovessero chiudere i loro battenti? Qualcuno ha provato a immaginare quale forza stabilizzatrice e quale contenimento di fenomeni criminogeni abbia prodotto l’occuparsi della Chiesa del fenomeno migratorio anche nella sua componente “irregolare”?Basterebbe questo a giustificare non solo il diritto della Chiesa a parlare, ma anche l’obbligatorietà -da parte delle pubbliche amministrazioni – di un ascolto sistematico e scientifico di quanto la Chiesa ha imparato e può mettere a disposizione dell’intera collettività nell’occuparsi degli immigrati.Non siamo mai stati dei salottieri illuminati, ma sempre e soltanto appassionati del bene di tutti e di ciascuno. Non pretendiamo che tutti capiscano quali sono le radici che stanno alla base di questo insonne impegno. Ma che almeno ci venga riconosciuto l’impegno e che se ne faccia tesoro!