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Un’Europa per i più deboli

Da Bruxelles segnali positivi per rom, bambini e disabili: ne seguiranno altri?

5 Giugno 2008

07/02/2008

di Gianni BORSA

Bisogna porre fine «a ogni forma di segregazione» e agli «attacchi razzisti» cui sono esposte le popolazioni rom in Europa. L’«antizingarismo è ancora diffuso» nel vecchio continente e la «paura» crescente, spesso alimentata dai media, verso i «camminanti» sfocia in ricorrenti vessazioni da parte degli Stati membri, delle forze di polizia, degli enti locali… Ai figli dei rom non sono pienamente garantiti il diritto all’istruzione e alla salute, mentre la disoccupazione tra gli adulti ha raggiunto limiti «intollerabili». Tutto ciò diventa ancora più grave se si considera che con gli allargamenti dell’Unione avvenuti nel 2004 e nel 2007 «la maggior parte di essi ha acquisito la cittadinanza Ue», beneficiando così del diritto «di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri».

Il preoccupato intervento a favore dei rom non proviene da qualche organizzazione umanitaria o da un’associazione di ispirazione religiosa dedita alla pratica della solidarietà. Si tratta, invece, di una risoluzione approvata dall’Europarlamento, riunito in sessione plenaria la scorsa settimana a Bruxelles. Una posizione dai toni fermi ed espliciti, votata in emiciclo ad amplissima maggioranza, cui è mancato il sostegno solo delle forze di destra e nazionaliste.

Ma l’Assemblea dei 27 non è nuova a pronunciamenti di questo tipo, che fanno della difesa dei diritti umani e delle minoranze un principio irrinunciabile. Basti citare la relazione approvata a metà gennaio, che indica all’Ue l’urgenza di realizzare una strategia politica comune per la difesa dei diritti dei bambini in vari ambiti: la formazione scolastica, la pratica sportiva, fino ai controlli su programmi televisivi (consumismo; violenza) e siti internet (pedopornografia) e alla lotta contro le violenze di qualsiasi genere, siano esse fisiche o psicologiche. Il tutto nella direzione di assicurare ai minori una vita libera, protetta, sana. Anche in questo caso il soggetto che si intende tutelare è il cittadino “fragile”; non a caso la relazione passata in aula fa esplicito riferimento alla famiglia quale ambito primo e più adatto per «proteggere» il bambino.

In tempi altrettanto recenti, dal Parlamento e dalle altre istituzioni Ue (Commissione e Consiglio) sono giunti diversi segnali di attenzione alla persona, alla sua dignità, al suo sviluppo, all’ambiente umano e naturale in cui essa vive. Si pensi ai reiterati interventi per l’integrazione delle persone disabili nella società e nel lavoro; alle insistenze sulla lotta ai cambiamenti climatici; alla tutela dei consumatori, a ciò che giunge sulle loro tavole, alle cure mediche che dovrebbero essere assicurate dai servizi sanitari nazionali; a politiche e azioni concrete volte a favorire l’incontro tra le culture. Per giungere agli ultimissimi segnali riguardo il dialogo interreligioso e la promozione della famiglia (il Consiglio Ue ha fra l’altro appoggiato, nel marzo 2007, la nascita dell’Alleanza per la famiglia).

Certo, si tratta di “segnali”. Peraltro in molti ambiti permangono equivoci, ritardi e persino improvvise retromarce (famiglia, tutela della vita…). Alle dichiarazioni di principio devono inoltre seguire le “politiche dei fatti” o, come dice spesso il presidente della Commissione Barroso, l’«Europa dei risultati». Va però riconosciuto che qualche novità si intravede. E se nelle materie più delicate ed eticamente sensibili non verrà messo in discussione il principio di sussidiarietà, si potrà affermare che l’Ue, sostanzialmente realizzato l’obiettivo del mercato unico, può finalmente perseguire con maggior determinazione la costruzione di una vera comunità politica.