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«Maestro unico, un ritorno al passato»

Cesare Scurati, pedagogista dell'Università Cattolica: «Il lavoro in team è una conquista che va mantenuta, si tratta di una realtà ormai consolidata in tutti gli ambiti professionali; perché la scuola dovrebbe restarne esclusa?»

3 Settembre 2008

04/09/2008

«La reintroduzione del maestro unico sembra un ingenuo ritorno al passato; ciò che occorre, in un’epoca come la nostra di esasperata articolazione e specializzazione dei saperi, èuna pluralità concorde che sappia costruire con coerenza, nella quale, come in un’orchestra, il singolo offra il proprio contributo a un discorso d’insieme».

Non ha dubbi Cesare Scurati, docente di pedagogia generale presso l’Università Cattolica, sulla reintroduzione del maestro unico attraverso il decreto legge sulla scuola approvato dal Consiglio dei ministri il 28 agosto.

«A suo tempo – rammenta Scurati – sono stato tra i sostenitori dell’introduzione della pluralità dei docenti: nel 1985 la Commissione che allora elaborò i programmi per la scuola elementare raccomandò questo tipo di passaggio dall’unicità dell’insegnante al team docente» per «rispondere con maggiore efficacia conoscitiva alla crescente articolazione e specializzazione delle competenze». «Il numero dei docenti previsti non doveva essere superiore a tre», precisa tuttavia il pedagogista, che indica nella «proliferazione di insegnamenti aggiuntivi» e nella eccessiva «rotazione del personale docente» elementi che «non hanno certamente giovato al progetto iniziale».

Per Scurati «il lavoro in team è una conquista che va mantenuta, si tratta di una realtà ormai consolidata in tutti gli ambiti professionali; perché proprio la scuola dovrebbe restarne esclusa?». Oltretutto, aggiunge, «porta con sé un valore fondamentale di testimonianza che gli adulti possono offrire ai bambini davanti alla disgregazione dei rapporti: quello della creazione di un’unità di lavoro fondata sulla suddivisione dei compiti e la valorizzazione delle competenze, che riesce a fare sintesi. È questa la prima grande lezione che un gruppo di adulti, oltre alla famiglia, può dare ai ragazzi».

«Non va peraltro dimenticato – sottolinea ancora il pedagogista – che nelle attuali condizioni di sviluppo culturale e dei saperi la scuola elementare fa sempre bella figura, a dimostrazione che l’utilizzo corretto della pluralità dei docenti dà garanzie sui risultati di contenuto che costituiscono poi i criteri di valutazione».

Perché, allora, questa reintroduzione? «Oggi vi sono delle posizioni – che tento di capire – che tendono a un ritorno al passato: il voto di condotta, il grembiulino, il maestro unico… Quest’ultima richiesta potrebbe voler rispondere al bisogno profondo di una figura quasi “genitoriale” di riferimento per tanti bambini che purtroppo oggi arrivano a scuola “sgangherati” affettivamente…».

Per il pedagogista la formazione delle persone rimane tuttavia essenziale ai fini di una «autentica pluralità collegiale dei docenti»: «Sono caduti tutti i progetti di aggiornamento e di formazione in servizio, in buona parte connessi alla maturazione di queste capacità, ma vanno ripresi alla radice, a partire dall’università: l’insegnante non si forma per accumulo di nozioni, ma per strutturazione progressiva di esperienze».

Quanto al voto di condotta, «non lo avrei mai tolto – afferma -; la condotta, o meglio il comportamento, è un aspetto significativo dell’esperienza scolastica e come tale ègiusto che venga valutato e inserito nel giudizio finale sull’alunno. Rilanciarlo è un segnale forte, dopo anni in cui c’è probabilmente stato un eccesso di buonistico ottimismo i cui risultati sono oggi sotto gli occhi di tutti».