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Kosovo, una firma incerta

La dichiarazione d'indipendenza è prevista per il 17 febbraio, ma permangono dubbi

5 Giugno 2008

di Mauro UNGARO
Esperto in politica balcanica

14/02/2008

Sono numerosi i segnali che portano a indicare in domenica 17 febbraio il giorno della dichiarazione unilaterale di indipendenza da parte del Kosovo. Ma quando si parla dei Balcani nulla è più incerto delle apparenti certezze.

Domenica è la giornata della settimana “consigliata” per tale atto dal Dipartimento di Stato americano ai governanti di Pristina, secondo quanto emerso dal verbale dell’incontro avvenuto a fine dicembre a Washington fra diplomatici della Slovenia e Danjel Fried, stretto collaboratore del segretario di Stato Condoleeza Rice.

Il documento avrebbe dovuto rimanere segreto, ma la stampa slovena ne è venuta in possesso e l’ha pubblicato per dimostrare l’esistenza di una sorta di “coordinamento” fra l’amministrazione Bush e l’Unione Europea, di cui Lubiana ha la presidenza sino a giugno. La giornata domenicale impedirebbe, di fatto, alla Russia un’immediata convocazione del Consiglio di Sicurezza, dando maggiore tempo alle diplomazie per giocare le proprie carte.

Ma come reagirà Belgrado alla perdita di oltre il 15% del proprio territorio? Il 7 febbraio la Serbia e l’Unione Europea avrebbero dovuto siglare un Accordo politico preliminare a quell’Accordo di stabilizzazione e associazione (Asa) che rappresenta la “porta d’ingresso” per l’adesione di Belgrado all’Unione. Un documento dove non compariva alcun riferimento alla questione-Kosovo e si trattava unicamente della collaborazione in vari campi delle relazioni bilaterali e dell’esemplificazione nel sistema dei visti reciproci, sottolineando come l’obiettivo finale della Serbia fosse l’avvicinamento all’Ue e la prospettiva di ottenere lo status di “candidato”.

A poche ore dalla firma, però, Belgrado ha fatto marcia indietro, obbligando il Commissario europeo per l’allargamento, Olii Rehn, a parlare di «ostacoli politici e procedurali». Il problema è nato dall’approvazione, nei giorni scorsi, da parte dei rappresentanti degli Stati dell’Unione (con la sola esclusione di Cipro) di uno schema delineante le basi legali e finanziarie della missione dell’Unione in Kosovo.

Il governo del premier Kostunica non intende accettare i duemila uomini (poliziotti e giudici) della missione Eulex (definita «una minaccia alla integrità territoriale e all’ordinamento costituzionale della Serbia»), senza un preventiva autorizzazione del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, considerando questo intervento una palese violazione della risoluzione 1244 del Consiglio stesso.

Riportare l’intera questione al Palazzo di Vetro significa, per Belgrado, coinvolgere direttamente nelle trattative l’alleato russo, dichiaratosi apertamente contrario al distacco del Kosovo. E a pochi giorni dalle elezioni nel proprio Paese – fissate per domenica 2 marzo – Vladimir Putin non può certo permettersi di accettare un’indipendenza unilaterale che potrebbe dare vigore alle analoghe richieste provenienti da alcune ex-Repubbliche sovietiche.

Il quadro ipotizzabile è una dichiarazione di indipendenza unilaterale di Pristina, domenica 17 febbraio, con immediato riconoscimento da parte della maggior parte degli Stati dell’Unione Europea e dagli Stati Uniti; il giorno seguente, lunedì 18, dovrebbe essere dato il “via libera” all’Accordo di stabilizzazione e associazione della Serbia all’Ue.

In tal modo, si rimuoverebbe anche il veto di Belgio e Olanda, che hanno sempre subordinato il loro placet alla consegna dei criminali di guerra serbi al Tribunale dell’Aja: tale atto verrebbe rinviato a una fase successiva alla firma di tale Accordo e preteso solamente prima dell’entrata in vigore dello stesso (non imminente, vista la necessaria ratifica da parte dei Parlamenti o dei Governi dei 27 Stati dell’Unione).

Winston Churchill, con la sua proverbiale sagacia, osservò un giorno che «i Balcani producono più storia di quanta ne possono digerire». Parole vere, oggi forse ancor più di ieri.