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Il Congo con il fiato sospeso

Nel Paese africano oltre un milione di profughi attendono una mediazione internazionale con il timore del colera. Parla un operatore umanitario italiano impegnato a Goma

5 Novembre 2008

05/11/2008

a cura di Gigliola ALFARO

«Oggi Goma è calma. Non abbiamo notizie di scontri nei pressi della città. Pare ci sia qualche scaramuccia in territori abbastanza distanti, ma di fatto stanno aspettando tutti l’esito delle mediazioni internazionali». A parlare della situazione nel Nord Kivu (Repubblica democratica del Congo) è Edoardo Tagliani, della Fondazione Avsi, ong onlus nata nel 1972 e impegnata con oltre 100 progetti di cooperazione allo sviluppo in 39 Paesi del mondo (su www.agensir.it un reportage sul Congo)

«I caschi blu stanno tenendo attualmente sotto controllo la città in modo abbastanza serio e regolare – afferma l’operatore dell’Avsi -, nel senso che anche gli episodi di saccheggio, di furto, di violenza, che sono capitati in città la settimana scorsa durante la notte, stanno diminuendo». Ma «quella che resta grave è la situazione umanitaria».

«Attualmente – racconta Tagliani – abbiamo una missione a nord di Goma, che rientrerà questa sera, per verificare la situazione dei profughi, mentre in città, come tutti gli altri colleghi, stiamo cercando di fare la conta dei profughi presenti». L’operazione non è sempre semplice: «Alcuni sono radunati in posti come chiese o scuole o centri di accoglienza: in questo caso è facile contarli».

«Molti altri profughi – precisa Tagliani – sono sparpagliati in famiglie di accoglienza, cioè sono ospitati da parenti o amici in città, quindi non è semplicissimo capire quanta gente si sia riversata effettivamente su Goma». Di certo, «quest’ultimo movimento di popolazione si aggiunge ai precedenti e rende ancora più drammatica la situazione umanitaria in loco».

Secondo l’operatore dell’Avsi, presente in Congo da cinque anni, «prima degli avvenimenti della settimana scorsa i profughi nel Nord Kivu erano già intorno agli 800/900 mila. Sicuramente adesso abbiamo passato il milione».

«Ho sentito circolare cifre come 1 milione e 600 mila o 2 milioni di profughi – dice Tagliani -, ma secondo me sono esagerate. Realisticamente penso che saremo intorno al milione e 100/200 mila profughi, che però non è affatto uno scherzo». «Le persone qui hanno bisogno di tutto – afferma -. Siamo in una vera e profonda emergenza. Ci sono migliaia di bambini che da 14 mesi vivono in condizioni disumane in improvvisati campi profughi, dove manca il minimo per sopravvivere».

Adesso, prosegue, «si sono movimentate tutte le maggiori agenzie Onu e tutte le maggiori Ong che lavorano in zona, cercando di fare uno sforzo di coordinamento per dare un primo aiuto ai profughi». Infatti, si registra un grave problema: «Attualmente gli stock, soprattutto quelli di viveri, non riescono a coprire le esigenze di tutta la popolazione», chiarisce l’operatore umanitario dell’Avsi.

Per far fronte alla scarsità di viveri e di altri beni di prima necessità, ricorda Tagliani, «ci si inventa strategie alternative: così chi ha disponibilità di denaro contante cerca di comprare cibo in loco, che si trova pure ma a prezzi allucinanti». Ciò, evidenzia l’operatore umanitario dell’Avsi, «in parte è dovuto a una difficoltà oggettiva di far arrivare cibo in zona, in altra parte è legato anche a una buona componente di sciacallaggio da parte dei grandi importatori e dei commercianti».

In parallelo, ricorda Tagliani, «c’è uno sforzo dell’agenzia Onu per i prossimi dieci giorni, quindici giorni al massimo, per avere voli speciali e cargo che cerchino di riportare gli stock a livelli accettabili sia di cibo sia di tutti quei beni di prima necessità che non sono cibo, ma sono ugualmente necessari come coperte, pentole, e via dicendo».

Dal punto di vista sanitario, avverte Tagliani, «c’è sempre il timore che scoppi un’epidemia di colera, anche se al momento non ci sono segnali troppo preoccupanti. Bisogna tener presente, comunque, che qui il colera è endemico. Un’epidemia significherebbe un picco, vorrebbe dire, cioè, che invece di due, tre o cinque malati a settimana ne avremmo cinquanta o cento».

In generale, è «difficile fare previsioni – afferma Tagliani -, con migliaia di persone in fuga dalle principali località qui del Nord Kivu. Noi, in quanto Ong, non possiamo che affermare di voler stare accanto alla popolazione. Nonostante la guerra, nonostante le difficoltà».

L’Est Congo, dicono all’Avsi, «conta i suoi morti da troppo tempo. A oggi ne ha contati, secondo stime esageratamente prudenti, più di 6 milioni. La guerra del Congo è una guerra sconosciuta, non dimenticata». «Per scordare qualcosa è necessario, prima, conoscerlo – sottolinea Tagliani -. Quattordici anni di atrocità dei quali il mondo sembra si sia accorto solo oggi».

L’Avsi è presente nella Repubblica democratica del Congo ininterrottamente dal 2002 con progetti di emergenza umanitaria, soprattutto per gli sfollati della guerra, educativi e di sicurezza alimentare in collaborazione con Unicef, Wfp, Echo, Pam e Cooperazione italiana.