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Dopo il sì della Corte Costituzionale LA SFIDA DEL REFERENDUM

5 Giugno 2008

Se l’attuale sistema non sarà modificato, gli elettori saranno chiamati alle urne tra il 15 aprile
e il 15 giugno per esprimersi su una nuova disciplina elettorale. I partiti a un bivio: o rompono
ogni possibilità di intesa in proposito, rimandando il tutto a dopo il referendum, oppure rinunciano
ai propri egoismi e interessi per varare un testo che potrebbe rimettere in moto il sistema politico,
consentendo un bipolarismo capace di governare il Paese senza mortificare i raggruppamenti

18/01/2008

di Antonio AIRÒ

La Corte Costituzionale ha dato il via libera al referendum popolare teso a modificare l’attuale legge elettorale. La decisione obbliga ora i partiti tutti a una corsa contro il tempo. Se l’attuale sistema di voto non sarà modificato, gli elettori saranno infatti chiamati alle urne tra il 15 aprile e il 15 giugno. Dopo questa sentenza le forze politiche non hanno più alibi. Anche l’immediato scioglimento del Parlamento avrebbe solo un risultato: rinvierebbe il referendum di un anno. E il nodo di una nuova legge elettorale si riproporrebbe.

Nelle scorse settimane la ripresa del dialogo tra il Partito Democratico e Forza Italia, con incontri e scambi di reciproci riconoscimenti tra Veltroni e Berlusconi, e i colloqui tra le diverse forze politiche di centro destra e di centro sinistra avevano mostrato una divaricazione tra i due maggiori partiti del nostro sistema e quelli minori, quasi tutti schierati contro il referendum e con la speranza che la Corte Costituzionale non ammettesse i quesiti destinati a cambiare la legge elettorale. Di qui una sorta di veti contrapposti, di proposte e controproposte, di indicazione di questo o quel sistema (tedesco? francese? spagnolo?). Adesso questo paracadute è caduto.

Ma riusciranno ora i partiti a fare in sessanta giorni o poco più quello che non sono riusciti a definire in quasi due anni di legislatura? C’è una generale concordanza su una legge che riduca l’attuale frammentazione delle forze politiche e realizzi un sistema bipolare che dia stabilità al Governo che si dovrà costituire. C’è anche un largo consenso sull’introduzione di una soglia di sbarramento che porrebbe fine alla moltiplicazione di partiti e partitini.

Veltroni e Berlusconi sembravano aver trovato un’intesa su un sistema elettorale un po’ farraginoso, ma coerente con questi obiettivi. Ma i partiti minori l’hanno rifiutato perché si sentivano minacciati da un bipartitismo che li emarginava. Una bozza elaborata dal presidente della Commissione Affari costituzionali del Senato sembrava offrire un compromesso accettabile da cui partire, avendo incontrato il consenso del Partito Democratico, dell’Udc di Casini, di Rifondazione e in parte anche di Alleanza Nazionale, che voleva soprattutto che la possibile coalizione di governo fosse presentata ai cittadini prima del voto (e non dopo). Contrari restavano la Lega, i Comunisti Italiani, i Verdi, l’Udeur, l’Italia dei valori. Restava in sospeso, ma non aprioristicamente ostile, la posizione di Forza Italia. Ma ieri Berlusconi ha praticamente bocciato la bozza Bianco, dicendo che o restava l’intesa raggiunta con Veltroni oppure meglio il referendum.

Di fronte a questa situazione di stallo, nessuna legge elettorale sarebbe stata varata e i partiti avrebbero continuato a fare i loro giochi più o meno interessati. Dopo la sentenza della Corte Costituzionale, però, i partiti debbono avere il coraggio, se veramente vogliono cambiare questa legge elettorale inaccettabile, di rompere ogni discorso in proposito rimandando il tutto a dopo il referendum, oppure di rinunciare ai propri egoismi e interessi politici e varare un testo che certamente non accontenterà tutti, ma che potrebbe rimettere in moto il nostro sistema politico.

Si tratta di trovare in tempi brevi un minimo comun denominatore che non mortifichi i partiti minori, ma che nello stesso tempo consenta un bipolarismo capace di governare il Paese. Èquesta la vera sfida che la classe politica deve affrontare. La sentenza della Corte ha offerto la possibilità. E il referendum, se arrivasse una nuova legge elettorale, in questo caso diverrebbe inutile.