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Intervista

Ambrosini: «Dal Decreto Sicurezza nessun vantaggio per il Paese»

Il sociologo, esperto di processi migratori, riflette su «legittimità, efficienza e utilità» del provvedimento recentemente trasformato in legge e giudica «fondate» le preoccupazioni dei sindaci al riguardo

di Pino Nardi

13 Gennaio 2019
Maurizio Ambrosini

«Con il Decreto Sicurezza quali vantaggi ha il Paese? Il decoro e la qualità della vita delle nostre città, avendo più gente sbandata, lasciata a se stessa? Credo proprio di no, quindi le preoccupazioni dei sindaci mi sembrano fondate». È la riflessione di Maurizio Ambrosini, docente di sociologia dei processi migratori all’Università degli Studi di Milano e direttore della rivista Mondi Migranti.

Sul Decreto Sicurezza alcune Regioni hanno presentato un ricorso sulla costituzionalità, invece diversi Comuni hanno annunciato un boicottaggio. Cosa non va in questo provvedimento?
Ci sono tre problemi: di legittimità, di efficienza e di utilità per il nostro Paese. Dal punto di vista della legalità, ci sono notevoli dubbi sulla costituzionalità di diverse parti del Decreto, in particolare sull’abolizione o quasi della figura della protezione umanitaria. L’articolo 10 della Costituzione ha una ampia concezione del perseguitato, della persona degna di ricevere asilo politico, che probabilmente è anche il frutto dell’esperienza personale di molti costituenti. Chi non gode di diritti costituzionali nel suo Paese ha diritto di chiedere asilo in Italia. Perciò mi sembra una scelta discutibile abolire la forma più flessibile e inclusiva di protezione, che esiste tra l’altro in 22 Paesi su 27 dell’Unione europea, anche se con altre formule.

Il secondo problema è l’efficienza…
Negare l’asilo, quali effetti ha in pratica? I rappresentanti del Governo, nonostante i numerosi viaggi in Africa, non sono riusciti a sottoscrivere un solo accordo per i rimpatri. È vero che hanno spostato 1,5 milioni di euro dall’integrazione alle deportazioni; è vero che hanno prolungato a sei mesi il tempo di permanenza nei centri di detenzione degli immigrati irregolari, ma nessuna di queste due misure garantisce grandi risultati. Se si stima un minimo di mille euro per ogni rimpatrio, con 1,5 milioni si rimpatriano 1500 persone. Secondo le previsioni degli attuali 150 mila richiedenti sotto esame, 100-120 mila rimarranno fuori.

Tuttavia da tempo questo fenomeno scatena le reazioni più dure soprattutto sui social
Qui si tocca la dimensione simbolica, ideologica, persino emozionale di tanto dibattito sull’asilo, sulle migrazioni, soprattutto così tanto odio in Rete. Ci sono parecchi cittadini odiatori seriali che si sentiranno contenti, penseranno di aver ottenuto un risultato se il migrante, invece di ottenere l’asilo, riceve un diniego e un decreto di espulsione. Ma né uno, né l’altro lo faranno scomparire. Quindi, quella che era una persona tutelata in alcuni diritti essenziali e che si preparava a inserirsi nella società italiana diventa un senza dimora, che vaga per le nostre città. Se va bene chiedendo l’elemosina. Ecco, il risultato sarà un aumento delle persone sbandate, senza tetto, né legge. È questo che preoccupa i sindaci: il problema si scarica sulle amministrazioni locali. L’impossibilità di iscriversi all’anagrafe è un altro dettaglio che si aggiunge: il richiedente asilo, a differenza di prima, non è più regolarmente iscritto ai servizi anagrafici e quindi non può più, per esempio, entrare nei servizi per l’impiego o ricevere una regolare assistenza sanitaria.

Inoltre periodicamente di fronte all’ennesimo sbarco umanitario si oppone un “fermo no”…
Anche in questo caso prevale una dimensione simbolica, se non ideologica ed emozionale. Ci si dovrebbe chiedere: ma 49 o 15 persone mandano in rovina l’Italia? Mi sembra surreale questo accanimento, che tra l’altro avviene in spregio delle norme sull’asilo e sul salvataggio in mare. Quando si dice «porti chiusi, non arretriamo di un passo», mi sembra si trascuri che c’è un limite alla volontà politica, che è dato dalla Costituzione e dalle convenzioni internazionali che abbiamo firmato. Questi documenti ci impegnano in modo chiaro, inequivocabile, nei confronti dei salvataggi in mare e dell’accoglienza a terra di persone che intendono chiedere asilo. Poi bisogna negoziare con l’Europa un diverso sistema di suddivisione dei richiedenti asilo, ma non credo che si ottengano grandi risultati con questa politica muscolare, che nega i diritti dei più deboli.

Il Papa, lo stesso Arcivescovo e i vescovi lombardi stanno intervenendo a favore dell’accoglienza. La Chiesa sta diventando tra i pochi baluardi dei diritti di umanità…
Con l’affievolirsi di ideologie e tradizioni politiche del ventesimo secolo, la Chiesa spicca soprattutto con papa Francesco, ma senza dimenticare che si tratta di un magistero costante, condiviso dai suoi predecessori, contrariamente a quello che alcuni sostengono. La linea dell’accoglienza verso i migranti e rifugiati è una grande costante del magistero cattolico sull’argomento, ai massimi vertici. Quindi la Chiesa, nella sua coerenza, emerge come un grande baluardo dei diritti umani e dei più deboli nel mondo di oggi, in particolare su una questione così impopolare come quella dei richiedenti asilo. Il Papa non esita a sfidare un’opinione pubblica che probabilmente in gran parte è favorevole alla tesi della chiusura. È un merito importante: così come i vescovi che condividono il magistero del Papa, sfidano l’impopolarità e la sensibilità di una parte del loro gregge.

Si pone anche la questione interna al mondo cattolico…
Sì, c’è un problema di dissociazione o di tendenziale distanziamento tra il magistero del Papa e dei vescovi e i sentimenti di una parte dei cattolici praticanti, una parte del clero e soprattutto un popolo che mantiene ancora un minimo di riferimento alla tradizione cattolica, che va a Messa a Natale e Pasqua, magari si sposa in Chiesa, ma che nella pratica è sempre più lontano dall’adesione al messaggio evangelico.

In una società che invecchia, l’Italia, in particolare in molti distretti industriali del Nord, avrebbe bisogno di manodopera straniera. Quindi come la mettiamo?
Occorre distinguere. Gli odiatori hanno il vantaggio della confusione, mettono insieme tutto: siccome ci sono sbarchi, hanno vittoriosamente contrastato una nuova legge sulla cittadinanza per le seconde generazioni. Oppure, siccome ci sono richiedenti asilo, si parla senza remore di invasione, di una pressione migratoria insostenibile, dell’Italia lasciata sola e altre retoriche di questo tipo. Va ricordato che l’immigrazione in Italia da quattro anni è stazionaria, che è principalmente europea, femminile e viene da Paesi di tradizione culturale cristiana. Una volta cercato di ristabilire i contorni veri del fenomeno, per governarlo è necessario distinguerlo nelle sue diverse componenti. Allora gli studenti li vogliamo, oppure no? E gli investitori? Le infermiere? Ricordo che già oggi in Lombardia un terzo degli infermieri sono stranieri. Le assistenti familiari degli anziani, dette badanti, le vogliamo oppure no? Allora, se segmentiamo l’insieme indefinito dell’immigrazione in categorie specifiche ci accorgiamo che il fenomeno diventa molto meno ansiogeno e incontrollabile. Gruppi e persone in gran parte arrivano perché li abbiamo voluti, perché ne abbiamo bisogno e siamo comunque contenti della loro presenza. È così che dobbiamo cercare di governare il fenomeno. Parliamo per esempio dei ricongiungimenti familiari: è meglio che gli immigrati siano qui da soli e sbandati o che vivano in famiglia? I loro figli hanno diritto di vivere con i loro genitori, oppure no? Affrontando in modo specifico, pragmatico, mirato le situazioni possiamo cercare soluzioni più mirate e che tengono conto dei vari interessi in gioco.

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