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«Noi e l’Islam»: quegli interventi
del card. Martini così attuali

Massimo Cacciari nell’introduzione sottolinea come questi testi, oggi ripubblicati dall'Editrice La Scuola, «sollevano questioni di principio, che per la tragicità dell’ora non è più lecito ignorare».

27 Febbraio 2015

Chi siamo “noi” e chi è “l’islam”? Quali i valori storici dell’islam e della sua presenza in Europa? Quale dialogo è possibile tra il cristianesimo  e una religione che significa etimologicamente “sottomissione” : in special modo sottomissione a Dio e a quella rivelazione che egli ha fatto di sé.  La Chiesa dovrà rinunciare a offrire il Vangelo ai seguaci dell’islam? E, ancora: cos’è il fondamentalismo? E dove conducono, alla luce della Parola di Dio, la condanna del terrorismo e il discernimento morale dei mezzi con cui lo si affronta? E  come si deve intendere la “guerra giusta” o il “diritto di legittima difesa” che non si può negare, neppure in nome di un principio evangelico? Come è possibile parlare di scontro di civiltà se prendiamo inizio da Genesi 21,13 con Isacco e Ismaele  entrambi figli di Abramo?

Sono solo alcune delle domande che, anni fa, l’arcivescovo di Milano Carlo Maria Martini non aveva ignorato e le cui risposte, pur segnate da più d’un dubbio, tornano ora nel loro significato più pieno, quasi a indicarci una  scala di valori e gli impegni concreti che il dialogo interculturale e interreligioso, ma anche la lotta contro l’intolleranza e il razzismo, esigono. Risposte colme di parole profetiche.

Anzi.  «Sono parole, quelle del cardinale Martini, che a leggerle ora, a distanza di tanti anni, potrebbero anche generare se non disperazione, sconforto. Dall’11 settembre 2001,e più ancora dall’anno mirabile della caduta del Muro e della fine della “Terza Guerra Mondiale”, la situazione è tragicamente peggiorata. Una fede cieca nella possibilità di instaurare un ordine imperiale planetario in seguito al crollo di uno dei due Titani usciti vincitori dalla Seconda Grande Guerra( crollo stupidamente inteso come definitivo), insieme alla risposta altrettanto ciecamente ed esclusivamente militare alla sfida all’Occidente  condotta dall’islamismo radicale e fondamentalista, hanno  portato il conflitto a un punto dove perfino l’armistizio sembra diventare impossibile, e il rapporto culturale e politico ridursi a quello puro e semplice di amico-nemico. In questo turbine della storia ha davvero senso parlare di pace?».

Apre così il saggio introduttivo del filosofo Massimo Cacciari ad un volumetto che ripropone due testi del cardinal Martini di grande attualità raccolti sotto il titolo ”Figli di Abramo. Noi e l’Islam” (Editrice La Scuola, pp.56;  euro 5,90). Due testi fondamentali  come il discorso tenuto a Sant’Ambrogio nel 1990 “Noi e l’islam” e quello alla città, alla vigilia di un’altra festa di Sant’Ambrogio, quella del 2001: “Terrorismo, ritorsione, legittima difesa, guerra e pace”. 

Scrive Cacciari illustrando il valore profetico di queste pagine, e  cogliendone indicazioni non solo in chiave storico- politica o filosofico-teologica: «Tutti i motivi storici e sociali che Martini indica, tutti gli errori e il ‘Miserabilismus’ culturale della politica dell’Occidente solo ‘atlantico, dimentico del suo Mediterraneo, che egli denuncia, lungi dall’essere stati superati, neppure sono stati compresi. Le radici del risentimento, del disprezzo e dell’odio sono state irrobustite in ogni possibile modo. La guerra contro il nemico è stata condotta ignorandone la natura e senza alcuna “strategia della pace”».

«Ciò che Martini evidentemente temeva potesse accadere dopo l’11 settembre, si è puntualmente verificato,e ogni soluzione è resa oggi più impervia dalla crisi economica e politica che l’Europa e l’intero mondo occidentale stanno vivendo per ragioni intrinseche al proprio sistema, ragioni destinate a manifestare la propria “violenza” anche senza alcun attacco “terroristico”, esterno o interno che sia. Potremmo anche individuare con relativa facilità la soglia oltre la quale la crisi diventerebbe ben difficilmente governabile; questo discrimine è segnato dalla tenuta della prospettiva dell’unità politica europea. Se questa dovesse ancor più drammaticamente essere messa in dubbio sotto i colpi di un’immigrazione incontrollata, degli attacchi jahidisti, della crisi economica, sociale,occupazionale e della conseguente affermazione di egoismi micro-nazionalistici, di forze xenofobe o apertamente reazionarie, quella speranza di pace, quel ‘grande bene della pace’ predicato da Martini, minaccerebbe di trasformarsi in un puro fantasma».

Ma non è tutto, perché, continua Cacciari, «gli interventi di Martini hanno ampiezza e profondità tali, da non poter essere discussi soltanto in un’ottica storico-politica. Essi sollevano questioni di principio, che, proprio per la tragicità dell’ora che attraversiamo, non è più lecito mettere tra parentesi o peggio ignorare».