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Storia

L’Ambrosiana, l’opera più straordinaria
del cardinal Federico

Nel 450° anniversario della nascita del Borromeo ripercorriamo l’intuizione che lo portò a istituire la Biblioteca, ancora oggi significativo punto di riferimento culturale e dottrinale

di Luca FRIGERIO

17 Agosto 2014

La Biblioteca Ambrosiana fu l’intuizione straordinaria del cardinale Federico Borromeo, che la progettò e la istituì nel 1609 «a vantaggio di tutta la Chiesa e principalmente della milanese – come scrisse lui stesso -, per difendere la fede cattolica dalle menzogne de’ nemici, e la repubblica letteraria e cristiana illustrare continuamente cogli scritti», certo che l’utilità di tale opera sarebbe stata «perpetua, et gloria di Dio grandissima, et cosa tanto cara ancora alle esterne nationi, non solo a Italia».

Durante il suo soggiorno romano, infatti, Federico aveva avuto modo di partecipare attivamente al dibattito culturale, interessandosi di arte e di letteratura, e cominciando a reperire antichi codici e molti libri. Giunto a Milano quale arcivescovo, il Borromeo si propose di dotare il capoluogo lombardo, privo di una tradizione universitaria, di un’Accademia di scienze, lettere e arti. Allo scopo acquistò nel centro della città un terreno su cui sorgevano alcune case cadenti, e incaricò gli architetti Richino, Buzzi e Tesauro di costruire una grande biblioteca. Contemporaneamente, inviava uomini di sua fiducia attraverso tutta l’Italia e l’Europa, con l’incarico di recuperare manoscritti e volumi di pregio, anche a costo di spese ingenti.

Accanto alla biblioteca (probabilmente la prima a essere effettivamente aperta al pubblico), l’arcivescovo predispose l’istituzione di quattro collegi, di cui oggi rimangono quello dei Dottori (a cui è affidata la direzione tecnica e intellettuale dell’istituto) e quello dei Conservatori (che si occupa della gestione e amministrazione del patrimonio edilizio). Pochi anni dopo, inoltre, il Borromeo diede vita anche a un’Accademia delle arti, a cui donò la sua magnifica collezione di opere d’arte, creando così una delle pinacoteche più importanti al mondo.

Dopo la morte del cardinal Federico, altri numerosi mecenati incrementarono l’istituzione da lui fondata. Nel 1637, per esempio, il marchese Galeazzo Arconati donava alla Biblioteca i manoscritti di Leonardo da Vinci (tra i quali il celebre Codice Atlantico), mentre nel 1751 entrò a far parte delle raccolte dell’Ambrosiana il Museo Settala, uno dei più significativi esempi dell’eclettico collezionismo scientifico del Seicento.

Oggi l’Ambrosiana si ripropone come centro culturale moderno, ma sempre fedele allo spirito del suo fondatore, quel Federico Borromeo che «unendo la carità ardente e versatile alla passione per la verità, salvaguardò così il patrimonio dell’humanitas e della iustitia caro ad Ambrogio, custodendone i documenti in un’istituzione destinata a fecondare per secoli la civiltà europea».

Collezionista d’arte

Di arte e di artisti Federico Borromeo si occupò sempre, dagli studi adolescenziali a Bologna presso quel cardinal Paleotti che aveva pubblicato il celebre Discorso intorno alle immagini sacre e profane, fino agli ultimi anni della sua vita, quando si preoccupò di mettere in salvo le opere abbandonate dalle famiglie patrizie in fuga per la peste. L’arte come riflesso della bellezza divina e come strumento per diffonderla fra gli uomini, fu insomma la più grande e la più intensa delle passioni di Federico. Che nei nove anni della sua permanenza a Roma ebbe modo di conoscere molti artisti, soprattutto pittori (il fiammingo Jan Brueghel fu quello a cui si legò maggiormente, per consonanza di spirito e di idee), contribuendo attivamente alla fondazione di quell’Accademia che fu poi chiamata “di san Luca”. A Milano, come arcivescovo, fece lavorare alcuni dei migliori talenti dell’epoca, dal Cerano a Daniele Crespi, dai due Procaccini al Morazzone. E lui stesso fu raffinato e instancabile collezionista di opere d’arte, che volle poi donare alla sua stessa creatura, l’Ambrosiana, perché tutti, e gli allievi di belle arti in primis, ne potessero godere. (l.f.)