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Anniversario

La “conversione” di san Carlo:
450 anni fa fu ordinato prete a Roma

Il 17 luglio 1563 il giovane Borromeo prendeva i sacri voti, imboccando così una strada che fino a quel momento non era poi così scontata... Un vero e proprio percorso spirituale, quello del Cardenal Nepote, che lo porterà a essere pastore della diocesi di Milano e guida per la Chiesa tutta.

di Luca FRIGERIO

16 Luglio 2013

No, non fu davvero una cosa scontata, l’ordinazione a prete di Carlo Borromeo, quel 17 luglio 1563. Chi glielo faceva fare, diceva qualcuno, al cardenal nepote di prendere i voti, quando già era amministratore apostolico della diocesi ambrosiana, abate commendatario di una mezza dozzina di monasteri, segretario particolare di papa Pio IV, suo zio? Ma davvero quel giovanotto un po’ bizzarro, amico di quell’altro bel tipo del Filippo Neri, voleva lasciare Roma e le stanze vaticane per andare a fare il vescovo a Milano? Che cosa si era messo in testa? Di riformare la Chiesa da solo, dando personalmente l’esempio?

Già, sorprese molti la decisione del giovane Borromeo di diventare sacerdote, in quell’estate di 450 anni fa. Ma non coloro che gli erano più vicini, e che ben sapevano come quella scelta fosse meditata e consapevole, frutto di una conversione del cuore e della mente, di un cammino spirituale sempre più profondo e sentito.

Appena quattro anni prima, nel 1559, Carlo si era laureato a Pavia in diritto civile e canonico. Il giorno di Natale di quello stesso anno, suo zio materno, il cardinale Gian Angelo Medici, era stato eletto papa col il nome di Pio IV. Una felicissima circostanza, un’occasione straordinaria, per il rampollo dei Borromeo, di veder realizzarsi sogni e aspirazioni di quella carriera ecclesiastica a cui era stato avviato fin dalla più tenera età.

Già il viaggio verso la Città Eterna si era rivelato, per l’allora ventunenne di Arona, un fatto memorabile, tanto calorosa e ricca era stata l’accoglienza ovunque, come raccontò in diverse lettere ai famigliari. Nell’Urbe, poi, l’attendeva l’investitura a cardinale, senza neppure aver ricevuto gli ordini sacri (ma secondo una prassi assai diffusa all’epoca), e ricche prebende che gli avrebbero garantito un notevole tenore di vita durante il suo soggiorno romano. Pio IV, inoltre, aveva già pensato di affidargli un ruolo di primo piano nella curia pontificia, con compiti paragonabili al “Segretario di Stato”, così come aveva posto il di lui fratello maggiore, Federico, a capo delle milizie vaticane. Un classico esempio di nepotismo, insomma. Seppur “illuminato”, perfino “provvidenziale”, come è stato poi definito alla luce degli eventi successivi…

A Roma lo stile di vita del cardinal Borromeo fu sempre moralmente irreprensibile: su questo tutti cronisti e gli storici concordano unanimemente. E non è poco, considerati i tempi e ben altri “esempi”… Tuttavia anche Carlo non disdegnava una certa mondanità, fatta di cene, di battute di caccia, di ritrovi conviviali, di buona musica, perfino di partite a palla. Come del resto ci si aspettava, in qualche modo, da un giovane principe della Chiesa educato in un contesto dal gusto ancora “rinascimentale”. Celebri, in particolare, divennero le “Notti vaticane”, appuntamenti culturali organizzati dallo stesso cardenal nepote nella sua dimora per discutere, secondo lo stile delle accademie del tempo e con le più belle menti capitoline, di svariati argomenti di filosofia e letteratura. “Caos” fu lo pseudonimo che il Borromeo scelse per sé, forse a indicare già allora la volontà di portare ovunque ordine…

Insomma, nulla di riprovevole, ma neppure la vita ascetica che il santo vescovo condurrà durante il suo episcopato ambrosiano. Fu proprio l’incontro con alcune grandi figure spirituali, in quei mesi romani, a orientare definitivamente i suoi propositi. Personaggi come san Filippo Neri, appunto, e i suoi oratoriani, prodighi di carità e di tenerezza verso il prossimo. Come il gesuita Giovanni Battista Ribera, che gli instillò la passione per la meditazione ignaziana dei sacri misteri. Come il prelato portoghese Bartolomeu dos Martires, il cui coraggio nel voler riformare i costumi della Chiesa fu preso a modello dal futuro vescovo di Milano. E poi il clima per molti versi euforico per le speranze suscitate da quel Concilio che proprio nel dicembre del 1560 era stato riconvocato a Trento da Pio IV…

La morte improvvisa dell’amato fratello Federico, il 19 novembre 1562, giunse come una prova dolorosissima per Carlo, ma segnò anche il momento irrevocabile della sua scelta decisiva. Se continuare, cioè, su quella strada religiosa che aveva intrapreso, o fermarsi, tornare allo stato laicale, come gli sarebbe stato concesso (e forse anche suggerito) dallo zio Papa, e gestire così le sorti della nobile famiglia Borromeo.

Carlo scelse di andare avanti, coerentemente, consapevolmente. Il 17 luglio 1563, appunto, veniva ordinato prete, probabilmente nella chiesa di San Pietro in Montorio, e cinque mesi dopo, il 7 dicembre, nel giorno della festa di sant’Ambrogio (certo non per caso!), si fece consacrare vescovo. Milano attendeva il suo pastore, la Chiesa tutta avrebbe avuto una nuova, autorevole guida.

Quella barba
che poi eliminò

Rare sono le immagini che illustrano il momento dell’ordinazione a sacerdote di san Carlo. L’iconografia borromaica, pur vastissima, ha infatti privilegiato altri momenti della vita e dell’attività del santo vescovo di Milano.
Particolarmente interessante appare quindi una medaglia di bronzo (nella foto sopra), dal diametro di circa 70 millimetri, che lo stesso Carlo Borromeo fece coniare all’età di 25 anni, come si legge nella scritta lungo il bordo, cioè nel 1563. L’occasione per la realizzazione di questa medaglia, ad opera dell’artista milanese Giovanni Antonio Rossi, potrebbe essere stata proprio l’ordinazione presbiteriale avvenuta il 17 luglio. Curiosamente, il giovane Carlo vi è ritratto con una barba piuttosto folta: barba che poi aborrirà fino a vietarla agli ecclesiastici ambrosiani. (L.F.)