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Crimine

Isis ha raso al suolo
il più antico monastero cristiano in Iraq

Continua la sistematica distruzione di siti religiosi e archeologici da parte del califfato. Con esplosivi e bulldozer è stato cancellato uno dei luoghi-simbolo del cristianesimo mediorientale, il monastero di St Elija, fondato nel VI secolo.

21 Gennaio 2016

La sistematica distruzione di culture, religioni ed eredità archeologiche da parte dell’Isis allunga in queste ore l’elenco dei siti rasi al suolo dai militanti.

Dopo Nimrud, Elian e Palmira è toccato a Elijah: i jihadisti hanno ridotto in macerie il più antico monastero cristiano in Iraq. Si tratta del monastero di St. Elijah, a Mosul, costruito 1.400 anni fa.

Il monastero fu fondato intorno al 595 dc da Mar Elia, monaco assiro, ed era il centro della comunità cristiana. Per secoli migliaia di pellegrini raggiungevano il monastero per la festa di Mar Elia, l’ultimo mercoledì di novembre.

«Non posso descrivere la mia tristezza», ha spiegato padre Paul Thabit Habib, 39 anni, scappato a Erbil dopo che i jihadisti hanno preso il controllo della zona in cui si trovava il luogo di culto.

Durante la seconda guerra in Iraq i militari Usa, che si erano insediati nel sito danneggiandolo, si erano impegnati a restaurare e proteggere il sito archeologico per poi restituirlo alla popolazione civile nel 2008.

Della vicenda, come fa notare l’Ap, si occupò anche il giornalista americano James Foley sei anni prima di essere ucciso dai terroristi del califfato. «St Elijah è stata salvata per le future generazioni di iracheni che speriamo possano presto goderne presto in sicurezza», scriveva in un articolo sullo Smithsonian Magazine.

Sia in Iraq che in Siria il gruppo terroristico sta distruggendo siti archeologici e luoghi di culto cristiani. I resti e i reperti archeologici vengono poi trafugati e venduti sul mercato nero.

Nei giorni scorsi è emerso come l’Isis abbia trasformato in parcheggi alcune moschee sciite nel governatorato di Ninive. Distrutta anche l’antica città assira di Nimrud.

L’Unesco aveva bollato la distruzione di Nimrud come «un crimine di guerra», e la direttrice generale, Irina Bokova, aveva fatto «appello a tutti i responsabili politici e religiosi della regione a sollevarsi contro questa barbarie».

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