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Iconografia

Il volto di san Francesco al Museo dei Cappuccini di Milano

In occasione della festa del Patrono d'Italia, un invito a riscoprire la bella e importante collezione di arte francescana di via Kramer. Che custodisce piccoli e grandi capolavori, come la tela del Seicento attribuita a Bernardo Strozzi che qui presentiamo.

di Luca Frigerio

4 Ottobre 2021

Non è il «solito» san Francesco: emaciato, consunto, sofferente. Questo «Poverello d’Assisi», infatti, sembra piuttosto in carne e l’espressione del volto pare esprimere serenità: felicità, persino. Ma non si tratta di una caricatura, né di un ritratto irriverente: tutt’altro. Il probabile autore di questo dipinto, del resto, è un pittore che non solo possedeva uno straordinario talento artistico, ma che aveva anche una profonda sensibilità religiosa: stiamo parlando di Bernardo Strozzi (1581-1644), detto anche il «cappuccino genovese» proprio perché, in gioventù, aveva indossato il saio francescano.

Il quadro in questione è una delle «gemme» del Museo dei Cappuccini di Milano, una significativa realtà che in questi anni si è fatta ben conoscere per le sue collezioni permanenti che illustrano la storia e l’opera dei frati in terra ambrosiana, oltre che per diverse iniziative culturali, tra mostre, conferenze e attività per le famiglie, che nei mesi scorsi, a causa della pandemia, hanno assunto la modalità di incontri online, curati dalla direttrice Rosa Giorgi e seguiti da un ampio pubblico. E ora si può tornare a visitare di persona le sale di via Kramer e ammirare dal vivo le opere d’arte e i documenti storici esposti, sempre nel rispetto delle norme sanitarie in vigore (da martedì a venerdì, 15-18; sabato, 10-18); mentre continuano anche gli appuntamenti virtuali, in video (informazioni e programma su www.museodeicappuccini.it ).

La tela che riproduciamo qui sopra è stata donata una quarantina di anni fa ai frati cappuccini di Lombardia da un collezionista che l’aveva acquistata sul mercato antiquario di Genova. Fino ad oggi, dunque, non è stato possibile individuare la collocazione originaria dell’opera, che proprio per la sua provenienza e per i riscontri stilistici, tuttavia, è stata associata al nome di Bernardo Strozzi (o alla sua bottega), «specialista» di soggetti francescani anche per la sua appartenenza religiosa. La luce e i toni «caravaggeschi», inoltre, fanno pensare a un lavoro giovanile del pittore genovese, che nel primo decennio del Seicento appare talmente ispirato dai modi di Michelangelo Merisi che alcuni studiosi hanno supposto un suo viaggio a Roma, proprio per studiarne da vicino i capolavori.

San Francesco è qui raffigurato in estasi: dall’oscurità dello sfondo, emergono le mani e il costato con i segni vividi delle stimmate. Il volto, soprattutto, colpisce l’attenzione dell’osservatore per gli «inconsueti» tratti somatici – il naso grosso, le labbra carnose, la folta capigliatura… – che per certi versi contrastano con l’immagine «tradizionale» del santo, solitamente più «affilata» e «serafica». Tuttavia, proprio gli occhi inumiditi e rivolti al cielo, insieme alla bocca aperta come in un sussulto, rivelano il deliquio mistico che coglie il Poverello sulla Verna.

Come se il pittore, insomma, avesse voluto illustrare alla lettera il passo della Legenda major, quando san Bonaventura da Bagnoreggio descrive l’apparizione del serafino a Francesco: «A quella vista si stupì fortemente, mentre gioia e tristezza gli inondavano il cuore (…) Scomparendo, la visione gli lasciò nel cuore un ardore mirabile e segni altrettanto meravigliosi lasciò impressi nella sua carne. Subito, infatti, nelle sue mani e nei suoi piedi, incominciarono ad apparire segni di chiodi, come quelli che poco prima aveva osservato nell’immagine dell’uomo crocifisso».

Proprio quello dell’estasi, del resto, è un aspetto della santità di san Francesco particolarmente rimarcato nella spiritualità dei Cappuccini e quindi espressamente richiesto dai conventi dell’ordine e dai fedeli a loro vicini. E che anche quest’opera sia stata destinata, in origine, a un ambiente legato ai frati cappuccini lo rivela proprio l’abito del fondatore con le stimmate, che è appunto marrone e con il cappuccio.

Visitando il museo milanese, in ogni caso, insieme alla scoperta di questo dipinto attribuito allo Strozzi (inedito fino a dieci anni fa, quando per la prima volta venne presentato nella mostra: «La fede nell’arte: luoghi e pittori dei frati Cappuccini») si può compiere un autentico viaggio nell’iconografia francescana, tra piccoli e grandi capolavori, dal medioevo ai nostri giorni. Senza mai dimenticare che questa istituzione non è che l’altra faccia di una stessa medaglia: qui in via Kramer, infatti, si nutre la mente, come dall’altra parte dell’isolato, in via Piave, i frati continuano ad accogliere chi chiede un aiuto.