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A Palazzo Reale

Cézanne, il senso del sacro
nelle sue nature morte

In mostra a Milano una selezione di grandi opere del maestro francese, con un itinerario centrato sulle sue esperienze in Provenza. Fino al 26 febbraio.

di Luca FRIGERIO

15 Febbraio 2012

 «Quello che non ho ancora potuto ottenere, che sento che non otterrò mai nella figura o nel ritratto, l’ho forse toccato là, in quelle nature morte…». È un Paul Cézanne anziano, ormai pronto a fare un bilancio della propria vita, di uomo e di artista, quello che così si confida agli amici più cari. Ma non c’è stanchezza, non c’è rassegnazione nelle sue parole. Semmai la lucidità di chi finalmente ha capito, la consapevolezza di chi è riuscito a vedere, l’intima serenità di chi ha avuto una rivelazione. Che illumina una vita segnata da amarezze e fallimenti, da crisi e da tormenti, ma che non si è mai adagiata, non si è mai arresa, in una ricerca continua di senso e di significato. Per questo ogni pennellata di Cézanne – l’ateo infine conquistato a Cristo, il materialista convertito via via alla spiritualità – pare mormorata invocazione, ogni suo dipinto inno alla natura e al suo Creatore…

Di Cèzanne alcune delle più belle “nature morte” – vive, vivissime – sono oggi esposte nella mostra che Palazzo Reale a Milano dedica al maestro francese. Una rassegna centrata sui temi e sui luoghi a lui più cari, e cioè sui volti e sui paesaggi dell’amata Provenza (Les ateliers du Midi è infatti il titolo dell’evento), che attraverso una quarantina di opere ripercorre le tappe esistenziali di un pittore poco compreso e lungamente osteggiato in vita, ma che fu riconosciuto come padre e ispiratore dalle avanguardie artistiche del Novecento e dai loro protagonisti, a cominciare da Picasso.

Perché è proprio la campagna attorno ad Aix-en-Provence, dove Cézanne nasce nel 1839, la fonte continua della sua ispirazione. Quella campagna dove ha vissuto adolescente con Emile Zola, lo scrittore che dopo averlo incoraggiato lo “rinnegherà”, ritenendo fallimentare l’esperienza artistica dell’amico Paul. Quella campagna dove il pittore ritorna dopo la snervante parentesi parigina, quasi come un rifugio, anche rispetto alla stessa borghesia provenzale a cui appartiene (lui, figlio di un cappellaio diventato banchiere), ma che lo guarda con ricambiata diffidenza. Quella campagna di cui Cézanne conosce ogni sentiero, ogni ruscello, ogni albero, per averli contemplati per ore, per giorni, in qualsiasi stagione e condizione, prima ancora di portarli sulla tela, come farà fino al suo ultimo respiro. Luoghi che diventano non-luoghi, spazi simbolici della sua stessa fantasia, punti di riferimento della sua geografia dell’anima…

È come se Cèzanne, insomma, per tutta la sua esistenza non abbia avuto che un unico scopo, caparbiamente perseguito con il pennello in una mano e la tavolozza nell’altra: analizzare il suo rapporto con quel “tutto indivisibile” che è il mondo, cercando di cogliere pittoricamente ogni frammento di realtà nella sua pienezza e nella sua unità. Un’esperienza artistica che non poteva non diventare autentico itinerario spirituale.

È per questo che le nature morte di Cézanne non sono soltanto raffigurazioni di mele, fiori o bicchieri. Sembrano ritratti di una bellezza effimera e caduca, e sono invece squarci sull’infinito. Paiono istanti casualmente catturati dallo sguardo, ma diventano brani di vita consegnati all’immortalità. Così che la trasformazione in volume e colore di quelle mele, di quei fiori, di quei bicchieri, è talmente profonda da suggerire, più che la parvenza degli oggetti, la loro stessa essenza: come se ognuno di essi, cioè, si ritrovasse al centro stesso dell’universo.

Sappiamo, del resto, che ad ogni sua composizione Cézanne dedicava decine e decine di sedute: un tempo che ad osservatori estranei appariva perfino eccessivo. Soprattutto per chi riteneva che le “impressioni” dovevano essere buttate giù sulla tela così, di getto… Ma non voleva dipingere emozioni, il maestro di Aix-en-Provence. Le sue opere sono piuttosto come il risultato di una lunga meditazione interiore, frutto quasi di quella stessa ascesi in cui si immerge il monaco orientale per scrivere la sua icona. Alla ricerca di un ordine primigenio, di un equilibrio da ricostruire. Dove nulla vi è più di vile, di inutile, di emarginato, ma dove ogni cosa è come illuminata da una luce che salva. In una sublimazione della quotidianità che è già riflesso di eternità.

La mostra a Palazzo Reale a Milano
La mostra Cézanne. Les ateliers du Midi prosegue fino al 26 febbraio nelle sale di Palazzo Reale a Milano (piazza Duomo, 12): è aperta tutti i giorni dalle 9.30 alle 19.30 (ma lunedì dalle 14.30, giovedì e sabato fino alle 22.30). Quaranta le opere esposte, provenienti dal Musée d’Orsay di Parigi come dall’Hermitage di San Pietroburgo, dalla Tate di Londra fino alla National Gallery di Washington. Il catalogo è di Skira, che ha curato anche la realizzazione dell’evento. Ingresso 9 euro (biglietto famiglia 16.50 euro). Info, tel. 02.92800375 – www.mostracezanne.it