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Monsignor Bregantini: «Cari giovani, vi scrivo…»

Cosa possono dire, oggi, le favole? Questa è la sfida che mons. Bregantini, già vescovo di Locri ora di Campobasso, lancia con la consueta vivacità ai giovani, animato dalla certezza che dietro ad ogni storia si nasconde un messaggio ricco di significato.

5 Giugno 2008

11/03/2008

di Silvio MENGOTTO

Gli scritti che mons. Bregantini raccoglie e commenta in questo libro ci dicono chi siamo, perché siamo qui e cosa dobbiamo fare. Sono pensieri che recuperano storie, fiabe, leggende ascoltate nella nostra infanzia e che hanno contribuito a formare la nostra identità.

Non dobbiamo meravigliarci se un presule si sofferma a parlare di fiabe perché, dice Bregantini, «nell’arte educativa, le leggende sono state create proprio per poter comunicare i grandi valori della vita. Vi parlo con immagini e colori, perché è molto più bello per voi e molto più agevole per me».

Mons. Bregantini ha sempre esternato la sua passione per i giovani, in particolare per il mondo della scuola. Quando era vescovo nella diocesi di Locri-Gerace «ha pensato bene di scrivere loro un messaggio, all’inizio di ogni anno scolastico , prendendo lo spunto da qualche storia o fiaba». Il tessuto delle storie è formato dai fili di carne e sangue, di amori e sogni, come la vita. Proprio le grandi domande della vita passano dal cuore, non dalla mente. Ma una storia va raccontata in braccio, mai attraverso lo schermo di un televisore, perché la storia è anche il raccontarla, è relazione e animazione, la storia è una comunicazione calda.

Queste quindici storie sono un’opportunità da cogliere per vivere meglio il tempo così logorato dalla fretta per il denaro. Occorre prendere tempo anche per recuperare,non solo una storia, ma l’anima della propria identità smarrita. Alcune tribù indios nell’Amazzonia, quando corrono nella foresta ogni tanto si fermano per aspettare l’anima che non correre. Fermiamoci anche noi ad ascoltare, leggere questi racconti, giusto il tempo di aspettare che l’anima ci raggiunga con l’identità.

Commentando Pinocchio c’è l’invito a diventare figli nella vita , non burattini al comando di saltimbanchi dietro le quinte della vita. Questo perché i colori della vita, cioè i talenti, sono un dono da fruttificare, non da nascondere o sotterrare come i cinque zecchini d’oro regalati da Mangiafuoco a Pinocchio. Il sacchetto della vita non contiene solo sassi, ma anche le preziose pietre chiamate talenti. Ma oggi sono tanti i talenti deprezzati perché mitizzati, o resi schiavi dall’efficienza. Doni e talenti sono da stringere con forza, cioè accoglierli e valorizzarli perché hanno solo il biglietto di andata, non quello del ritorno. Per questo la cultura è un dono gratuito non superfluo, simile alla “luce della sapienza che cambia tutto”.

Nel commentare la storia del Minotauro, dove “il mito è frutto di un popolo intero”, Bregantini è convinto «che le domande dei giovani sono perennemente uguali, sia nell’antica Grecia di 4000 anni fa, sia oggi!» Così il Minotauro è ogni idolo che ci rende vani e vuoti perché “l’uomo diventa ciò che odora”. Il labirinto è icona della presunzione, del fariseismo e perbenismo, crede al destino non alla speranza cristiana. Per il cristiano non esiste il destino, ma il progetto. Teseo è il coraggio di nuotare controcorrente, non quella del piacere. Teseo è forte e Arianna astuta. Il filo di Arianna serve a Teseo per ritrovare l’uscita dal labirinto ed èsimbolo di una preghiera forte e fiduciosa, legata alla propria esistenza.

Anche il mago, che assicura di risolvere rapidamente tutto, è una figura diffusa nella nostra società, il suo fascino deresponsabilizza la persona, non la fata perché promuove la nostra esistenza ma con la nostra collaborazione. E’ ciò che fa la fata Turchina di Pinocchio. Oggi c’è tanta libertà e poca verità, per questo, il Paese è brutto perché ha il cuore sporco.

I poeti fanno volare alto con le parole, ma vola solo chi osa farlo. Vola alto chi non smette di sognare, cioè guardare le cose come il Signore le ha fatte e mai con animo invidioso. Dice Corrado Alvaro «l’invidia è il peccato mortale dei poveri». Saper coltivare il gusto del bello non ci porta all’invidia, ci educa a come porsi tra la gente, senza imporsi. Dio ci ha pensato non programmato e ci educa per entrare nel cuore delle persone «guardando i figli negli occhi, ascoltandoli molto, come si ascolta il respiro degli alberi e della primavera in esuberanza . Imparando a valorizzare ogni uomo come persona e non come numero».

Mons. Gian Carlo Bregantini,
Cari giovani, scrivo a voi
Elledici
(pp. 153, Euro 7)