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Milano

Folla, cappellini e striscioni a salutare Serafino, Enrichetta e Clemente

L'entusiasmo e la devozione di quasi ottomila fedeli, legati in vario modo alle figure dei tre ambrosiani beatificati, hanno scaldato stamattina una già torrida piazza Duomo

di Stefania CECCHETTI

26 Giugno 2011

Il cielo dice bene ai beati milanesi. Come per la cerimonia che elevò don Gnocchi alla gloria degli altari, anche oggi – nel giorno di don Serafino Morazzone, suor Enrichetta Alfieri e padre Clemente Vismara – il cielo era di un azzurro “manzoniano”. Il caldo torrido di questo inizio estate non ha comunque potuto fiaccare gli animi dei circa ottomila fedeli presenti in piazza Duomo, confortati solo dall’ombra di qualche raro ombrellino e dalle bottigliette di acqua minerale distribuite dall’organizzazione, ma entusiasti e commossi nell’acclamare i “propri” beati.
Nel momento più emozionante di ogni cerimonia di beatificazione, cioè alla scopertura dello stendardo raffigurante il volto dei tre protagonisti, la folla è esplosa in un lungo e sentito applauso. Tra lo sventolare di cappellini e fazzoletti sono apparsi anche alcuni striscioni, segno concreto dell’affetto con cui hanno partecipato all’evento i fedeli dell’unità pastorale di Chiuso-Maggianico, quelli di Agrate Brianza e le suore della Carità di Santa Giovanna Antida di Thouret.
Tre mondi, tre universi distinti e al loro interno compositi. Visibilissimo il settore dei fedeli legati a Enrichetta, con i loro sgargianti cappellini rosso fuoco. Ad acclamare “l’Angelo di San Vittore” c’erano anche gli agenti della polizia penitenziaria, insieme ad un gruppo di detenuti delle tre case di reclusione milanesi, alcuni dei quali sono stati coinvolti nella celebrazione, al momento della presentazione dei doni all’altare. Fedele, ex carcerato, ha voluto spiegare così la sua gioia per la beatificazione di suor Enrichetta: «Lei stessa ha provato su di sé ciò che tante persone detenute provano ogni giorno dentro un carcere». In prima fila anche alcune autorità carcerarie: il provveditore lombardo Luigi Pagano e il direttore di San Vittore, Gloria Manzelli. Oltre a monsignor Giorgio Caniato, ispettore generale delle carceri italiane, e don Alberto Barin, cappellano di San Vittore. E, fra i volti noti, anche Daniela Zuccoli, moglie di Mike Bongiorno, che conobbe la religiosa nel periodo della sua reclusione a San Vittore, dove fu portato nel 1943 perché oriundo americano rientrato illegalmente in Italia.
Cappellino “d’ordinanza” bianco, invece, per i parrocchiani di Chiuso e dintorni. Ad accompagnali, c’era anche qualche alpino della sezione lecchese, felice di portare la “penna nera” alla seconda proclamazione in un anno e mezzo, dopo la grande festa per don Gnocchi nell’ottobre 2009. La lunga causa di beatificazione di don Serafino è stata sostenuta con generosità e pazienza da un comitato cittadino. Il segretario, Giuseppe Ronchi, grande studioso del “buon Curato di Chiuso”, ha raccontato, con gli occhi lucidi di lacrime, il prodigio delle fragole raccolte nella neve in pieno inverno e donate a una bambina malata che dopo averle mangiate guarì: «Ogni anno, con i bambini dell’oratorio, ricordiamo questo episodio. La figura del Morazzone, che spese tutto se stesso per gli ammalati i poveri e i bambini, è ancora viva fra noi e si tramanda di generazione in generazione».
Il volto di padre Clemente Vismara risaltava sulla maglietta dei fedeli giunti dalla sua città natale, Agrate Brianza. Su un grande striscione, innalzato dal folto gruppo, si leggeva: «A noi non è necessario essere amati, per noi l’importante è amare». C’erano, naturalmente, anche alcuni esponenti del Pontificio Istituto Missioni Estere, tra cui Piero Gheddo, che ha letto la biografia del novello beato all’inizio della celebrazione. Ma per festeggiare “il Patriarca della Birmania” era arrivata anche una delegazione di religiosi e laici dalla repubblica di Myanmar, guidati dal vescovo di Kendt Dong, Peter Louis. Alcuni di loro hanno intonato, alla Comunione, un canto in birmano dal titolo “La festa dell’amore” che ha ricevuto un grande applauso. Dalla Tahilandia, in una zona di confine con l’ex Birmania (quindi a pochi chilometri da dove visse padre Vismara), è giunto anche padre Claudio Corti, presente nella doppia veste di missionario del Pime e di originario di Maggianico, quindi in festa non per uno ma per due beati. «Ho la grande fortuna di vivere in missione nelle stesse zone in cui visse padre Vismara. Tante persone, tra la mia gente, lo hanno conosciuto o sono state battezzate da lui. Quindi io sono qui anche a nome loro».
Alla cerimonia hanno naturalmente presenziato anche le principali autorità: il neo sindaco di Milano Giuliano Pisapia, il presidente della Provincia Guido Podestà e l’assessore Giulio Boscagli, in rappresentanza del presidente della Regione Roberto Formigoni. Oltre, naturalmente, ai sindaci di Lecco, Virginio Brivio, e di Agrate, Ezio Colombo.
Ma è stata soprattutto la devozione di tante persone comuni ad animare quella che senza esitazioni possiamo definire una grande festa della diocesi di Milano. Una diocesi che stamane si è stretta attorno a un visibilmente commosso cardinale Dionigi Tettamanzi ed è stata benedetta anche dal saluto del Papa, che in collegamento da Roma, in occasione dall’Angelus, ha avuto parole di grande stima per le figure dei tre ambrosiani oggi beati.