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22 aprile

Pregare per le vocazioni guardando ai giovani

La 55ma Giornata mondiale (22 aprile) ha un significato particolare alla luce del Sinodo dei Vescovi in programma nell’ottobre del 2018, dedicato al loro rapporto con la fede: «Ascoltare, discernere, vivere la chiamata del Signore»

di Claudia CiottiDirettore del Centro Diocesano Vocazioni

22 Aprile 2018
Papa Francesco

«Ascoltare, discernere, vivere la chiamata del Signore» è il titolo del Messaggio che Papa Francesco invia anche quest’anno a tutti i fedeli per la Giornata mondiale di preghiera per le Vocazioni.
Il Messaggio è semplice, asciutto e non troppo articolato, sembra suggerire di voler essere letto e recepito più che commentato.
Si colloca nel contesto della preparazione e del prossimo svolgimento del Sinodo dei Vescovi su I giovani, la fede e il discernimento vocazionale, riporta alcune citazioni del relativo Documento preparatorio e, soprattutto, ne ripropone la questione centrale: la vocazione è per ogni persona ed è dimensione permanente della vita cristiana. Siamo dunque chiaramente coinvolti tutti, a prescindere da connotazioni anagrafiche o specialistiche: la vocazione è il modo con il quale il Signore chiama, accompagna e realizza per sempre la felicità di ogni uomo e di ogni donna.
Perentorio in questo senso è il richiamo che Francesco fa a non avere mai indugi nel vivere la propria vocazione: «La gioia del Vangelo, che ci apre all’incontro con Dio e con i fratelli, non può attendere le nostre lentezze e pigrizie; non ci tocca se restiamo affacciati alla finestra, con la scusa di aspettare sempre un tempo propizio; né si compie per noi se non ci assumiamo oggi stesso il rischio di una scelta. La vocazione è oggi! La missione cristiana è per il presente! E ciascuno di noi è chiamato – alla vita laicale nel matrimonio, a quella sacerdotale nel ministero ordinato, o a quella di speciale consacrazione – per diventare testimone del Signore, qui e ora».
Possiamo notare che le vocazioni, intese come stati di vita, sono qui enunciate tutte ugualmente. Il Papa fa poi un solo incoraggiante e diretto accenno alla vocazione di speciale consacrazione: «Il Signore chiama ancora a vivere con Lui e andare dietro a Lui in una relazione di speciale vicinanza, al suo diretto servizio. E se ci fa capire che ci chiama a consacrarci totalmente al suo Regno, non dobbiamo avere paura! È bello – ed è una grande grazia – essere interamente e per sempre consacrati a Dio e al servizio dei fratelli».
Questa bella tensione vocazionale permanente è annunciata, spiegata e promossa dal Pontefice con l’intreccio di una terna di verbi: ascoltare, discernere, vivere. A ciascun verbo corrisponde una piccola catechesi e l’esortazione all’impegno conseguente, da cogliere direttamente nel testo, secondo uno stile incalzante e un ritmo coinvolgente che Francesco usa spesso, quasi a non lasciarci nella posizione di soli lettori del Messaggio. Questo dinamismo ha al centro ancora, come in importanti altri documenti e interventi papali, il discernimento. Lungi dal voler qui aggiungere alcunché a come lo presenta il Papa, rammento un’efficace suggestione che il Cardinale Carlo Maria Martini offrì in una conversazione con il clero e che ben rappresenta il dinamismo concreto e “triplice” che si può attuare nel discernimento. Il Cardinale faceva un paragone con le scalate in montagna, che gli piacevano tanto: «Quando vedo da lontano una parete di montagna, mi dico che è impossibile scalarla, perché è troppo impervia. Chi ama la montagna – io sono uno di quelli – e si avvicina alla parete, si accorge però che essa ha molti piccoli appigli, quasi invisibili ma sufficienti per iniziare. Ciò che sembrava impossibile da lontano, è possibile da vicino».
E, da vero esperto, il Cardinale aggiunge che gli appigli devono essere almeno tre (come i verbi del Papa)! Questi sostegni (riferiti in quella conversazione alla preghiera dei sacerdoti) permettono di “salire al monte di Dio. L’importante è il metodo e la fiducia nel Signore. Come per chi arrampica non si tratta tanto di sfiancarsi in uno sforzo fisico ma di trovare un ritmo e un equilibrio, fino al punto che salire in sicurezza non è più una fatica ma un piacere, così per chi prega (come per chi voglia seriamente vivere la vocazione cristiana) si tratta di affidarsi ad appigli sicuri, ogni giorno, costantemente, e con questo esercizio si giunge a poco a poco a comprendere che realmente non siamo noi a pregare e a vivere, ma è lo Spirito che prega e vive in noi”.

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