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Fino al 18 ottobre

In mostra a Milano la straordinaria
avventura spaziale Apollo XIII

Ogni anno l'Associazione Arcobaleno Vigentino onlus di Milano, che segue persone con deficit psichici, organizza un grande evento culturale per far conoscere le sue attività. La proposta di quest'anno consiste in una mostra sulla straordinaria avventura della missione spaziale Apollo 13, allestita nel transetto della Chiesa dell'Assunta a Milano

di Oscar Magrassi

8 Ottobre 2015

Ogni anno l’Associazione Arcobaleno Vigentino onlus di Milano, che segue persone con deficit psichici, organizza un grande evento culturale per far conoscere le sue attività e coinvolgere il pubblico al mondo del volontariato. La proposta di quest’anno consiste in una mostra sulla straordinaria avventura della missione spaziale Apollo 13. La visita è aperta gratuitamente tutti i giorni fino al 18 ottobre (da concordare le visite per scolaresche e gruppi). La location della mostra è al Transetto della Chiesa dell’Assunta: Piazza dell’Assunta,1 Milano (Parrocchia Madonna di Fatima).
Orari: lunedì e venerdì 17-19
Sabato e domenica ore 10-12 e 15-19.
Nei pomeriggi dei weekend visite guidate gratuite.

Presentazione della mostra
Per chi ha vissuto in presa diretta gli straordinari avvenimenti della conquista della Luna parlare della missione Apollo XIII vuol dire affrontare un argomento che ha generato molti sogni e qualche illusione, ma che ormai, istintivamente, non alimenta più la stessa curiosità, passione, attesa e trepidazione. Per chi invece anagraficamente quegli anni non li ha potuti vivere, Apollo XIII è soprattutto un film, di cui si ricorda vagamente la trama avventurosa, nella quale affiora il senso di eroismo dei protagonisti, condito da effetti speciali ben realizzati e da una latente retorica della Grande America.
Ma cosa fu in realtà la missione Apollo XIII, a quarantacinque anni dal suo compimento?
Per capirlo dobbiamo guardare il quadro generale, the big picture direbbero gli americani. Negli anni ‘60 il mondo si trovava in piena Guerra Fredda, mondo occidentale a guida statunitense contro mondo sovietico. Era una guerra in cui in molte parti del mondo si combatteva, ci si ribellava, si moriva (Berlino Est, Vietnam, Cecoslovacchia, …), ma era anche una guerra che si combatteva per la conquista del consenso planetario. La conquista dello Spazio fu quindi vissuta come una gara propagandistica, fortunatamente incruenta e ipertecnologica, anche con ricadute finali positive per la scienza e la tecnica, ma con un investimento in denari pubblici senza precedenti.
Chi, quindi, ha vissuto quegli anni difficili ha tutto il diritto di sentire istintivamente se non repulsione, almeno assuefazione al tema conquiste nello spazio, per troppe volte infatti queste imprese sono state accomunate allo sventolare di bandiere per dimostrare la superiorità di ideologie politiche che poco avevano e hanno a che fare con la scienza, la tecnologia, la conoscenza e in generale il progresso umano.
Rileggendo però i resoconti dell’epoca traspare comunque un incredibile entusiasmo, sia da parte degli addetti ai lavori, sia della gente comune, una fiducia nel futuro che sarebbe imperdonabile non rilevare e capire. John Kennedy ebbe il merito di individuare un obiettivo chiaro e comprensibile per tutti: andare sulla Luna (nonché tornare sani e salvi) e tutti si identificarono in un sogno che, anno dopo anno, giorno dopo giorno, finalmente si realizzò. Se dunque il Novecento è stato il secolo delle guerre fratricide e della bomba atomica, è stato però anche l’inizio, nella storia dell’uomo, dell’esplorazione diretta dello Spazio.
Gli anni ’60 ci portano così in dote lo straordinario esempio positivo di una esperienza in cui persone con culture diverse riescono a lavorare insieme, a cooperare, a condividere i propri errori e dubbi per un obiettivo comune. L’esperienza della NASA di quegli anni ci insegna che gli uomini danno il meglio di sé quando si sentono parte di un progetto, quando si sentono scelti in maniera definitiva per qualcosa che può servire all’umanità.
Ma non si può capire fino in fondo il contesto della missione Apollo XIII, senza ricordare la tragedia di Apollo I. Il programma Apollo nacque con il sacrificio nel 1967 di tre astronauti che durante una esercitazione morirono in un incendio. Per il personale NASA (direttori, ingegneri, staff, astronauti) nulla sarebbe stato più come prima. Sebbene il rischio fosse già valutato attentamente, da quel momento la priorità fu quella di non permettere più che una simile tragedia potesse ripetersi.
I direttori di volo, tra cui il celeberrimo Gene Kranz, decisero di darsi delle regole chiare per orientare inequivocabilmente da quel momento tutte le proprie attività. Misero nero su bianco una tavola di regole morali a cui attenersi, riassumibili nei concetti di responsabilità e impegno a profondere il meglio di se stessi. La famosa frase: Failure is not an option (l’errore non è contemplato) si capisce meglio alla luce di questa ricerca costante dell’eccellenza, iterando fino alla noia prassi e procedure per rendere fattibile un progetto unico e mai realizzato quale quello dell’uomo sulla Luna. Ecco allora che nel momento della reale emergenza emersa durante la missione Apollo XIII, in cui l’equipaggio si trovò improvvisamente in serio pericolo, Kranz e la sala controllo non improvvisarono, non tirarono ad indovinare, ma si attennero ad un codice etico conosciuto e condiviso in cui l’obiettivo primario fu la sopravvivenza degli astronauti: costi quel che costi (contemplando anche l’annullamento di una missione su cui si erano investiti milioni e milioni di dollari).
Ecco allora la grandezza di questa esperienza: ciò che a prima vista appare come una sconfitta professionale fu vissuto dai suoi stessi protagonisti come un momento unico di redenzione, di sacrificio, di possibilità di partecipazione. Nella realtà cooperarono al salvataggio dell’equipaggio uomini della NASA del centro di controllo di Houston, ma anche di Cape Kennedy, nonchè di Washington e molti ingegneri delle società fornitrici: tutti per trovare idee risolutive lavorarono giorno e notte.
Apollo XIII è quindi un esempio fenomenale di disciplina, competenza, padronanza di sé, assunzione di responsabilità, tenacia, lavoro di gruppo e attenzione costante.
Cosa è allora ‘il fallimento di successo’ di Apollo XIII se non la metafora stessa della vita? La vita, come il programma Apollo, si può interpretare come un progetto unico per ognuno di noi, in cui possiamo dare il meglio solo se ci prepariamo come ci si prepara seriamente per una missione (con faticosi allenamenti per gli astronauti, difficili calcoli matematici per gli scienziati, ardite realizzazioni industriali per gli ingegneri, …). E in questo progetto, che è la vita, ‘l’errore non è ammesso’: non possiamo cioè permetterci l’errore di poter tollerare la perdita di significato, di dignità, di sicurezza umana e sociale della persona. Allora anche noi potremo vivere il nostro impegno per gli altri come ‘our finest hour’, come il momento di gloria della nostra esperienza, come ‘Il nostro momento migliore’.