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Gian Atonio Coiro descrive Giovanni Antonio di Legori che nel servire «depone la beretta de seculare et si mette una veste et una cotta»

Ostiario_San_Sebastiano

Procedendo l’inventariazione informatica della Sezione X «Visite pastorali e documenti aggiunti» del Fondo della Curia arcivescovile di Milano è stato possibile venire a conoscenza dell’esistenza di una sorta di “Ostiario” operante presso la parrocchia di San Sebastiano. Di seguito la trascrizione del breve testo presumibilmente redatto dal Parroco Gian Antonio Coiro:

Notta de chi non essendo chierico serve alla chiesa.
Gio[vanni] Antonio di Legori il qual no[n] è chierico ne | vuole esser[lo] et non va in habito serve alla chiesa de | S[an]to Sebastiano a respondere alle messe et per gli | altri bisogni della chiesa ma mentre vi sta a | servire depone la beretta de seculare et si mette | una veste et una cotta.
Ne altri so in mia parochia che volia servire | alla chiesa o incaminarsi alla vita clericale.

 

Grazie al Ruggeri comprendiamo che il termine «ostiario» è invalso dopo la riforma borromaica per indicare un componente di un gruppo di ecclesiastici muniti degli ordini minori, addetti alla custodia del Duomo di Milano, delle suppellettili della chiesa e della sacrestia, al servizio liturgico durante le sacre celebrazioni. Gli ostiari deriverebbero dagli antichi chierici custodi che nel Medioevo erano attestati presso molte chiese della Diocesi di Milano. Il custode Beroldo ci informa che nel secolo XII vi erano sedici custodi divisi in maggiori e minori. I maggiori erano addetti alla custodia della sacristia ed erano ulteriormente suddivisi in cicendelarii custodi dei lumi e ostiari custodi dei beni preziosi. I minori erano addetti alla custodia del coro e dell’altare. La sorveglianza era anche notturna tanto che due di essi dormivano a turno presso dei locali annessi alla sacristia. I custodi percepivano una parte delle retribuzioni che nelle diverse celebrazioni spettavano al clero prestante servizio liturgico. Godevano inoltre dei frutti di veri e propri benefici ecclesiastici conferiti a loro dal cimiliarca cioè l’ecclesiastico preposto alla custodia del tesoro del Duomo. Tuttavia Michele Sovico, nel XVI secolo, affermava che in alcuni periodi la nomina dei custodi spettasse direttamente all’Arcivescovo o al suo Vicario. Da alcuni documenti risulta che nel Quattro e Cinquecento molti custodi erano anche sacerdoti cosa che tuttavia andava contro le prescrizioni dell’arcivescovo Pizolpasso secondo le quali se un custode diventava presbitero doveva lasciare l’incarico e il relativo beneficio. San Carlo Borromeo emanò l’11 aprile 1579 due decreti con i quali sopprimeva la figura del cimiliarca e disciplinava i custodi. In deroga al Concilio di Trento ai custodi venivano conferiti gli ordini minori che, di per sé, erano riservati solo per coloro che intendevano accedere anche a quelli maggiori. Il cardinale Federico Borromeo nel primo libro del suo Caerimoniale ambrosianum fissò minuziosamente i loro compiti ulteriormente definiti da vari memoriali e zibaldoni redatti dai maestri delle cerimonie. Non mancarono aggiornamenti o conferme del regolamento da parte dei vari arcivescovi come il Pozzobonelli (1773), Ferrari (1906) e Schuster (1934). Nel frattempo la struttura del collegio era andata progressivamente modificandosi passando da un numero di sedici a dodici sino ai sette dell’inizio del Novecento. Con l’evoluzione della vita liturgica, da una parte, e della disciplina degli ordini minori, dall’altra, anche la figura degli ostiari è andata progressivamente modificandosi tanto che oggi sono laici dipendenti dalla Fabbrica del Duomo. Dunque da quanto sin qui letto è necessario essere consapevoli che il «nostro» Giovanni Antonio di Legori può essere definito ostiario solo in senso lato.

FONTI:
F. Ruggeri, Ostiari in «Dizionario di liturgia ambrosiana», Nuove Edizioni Duomo, Milano 1996, 383-386.

ASDMi, Fondo della Curia arcivescovile di Milano, Sezione X «Visite pastorali e documenti aggiunti», Serie 1 «Sant’Alessandro», Volume 9 , Fascicolo 1, Sottofascicolo 13.

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