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Nei primi decenni del XIX secolo sia a Milano che nella campagna circostante il cibo era una importante indicatore sociale

Dr.ssa Sara Vazzoler
dietista

natura
Jan Davidsz. de Heem

Nei primi decenni del XIX secolo sia a Milano che nella campagna circostante il cibo era una importante indicatore sociale: i poveri (circa l’80% della popolazione) mangiavano molto poco, perché il cibo costava molto, mentre i ricchi si rimpinzavano, sia per la gola sia per dimostrare la loro agiatezza.

Secondo quanto rilevato dalle indagini archivistiche condotte a Milano, Melegnano, Badile, Dugnano, Senago e Pozzo d’Adda, in termini statistici, solo un quarto della popolazione si nutriva tutti i giorni in modo decente, gli altri si arrangiavano con la polenta, minestroni di verdure, cereali e pane.

Per comprendere l’alimentazione dell’epoca e i conseguenti gusti di chi sedeva a tavola, occorre dimenticare per un attimo la cucina contemporanea e le nostre abitudini. Dobbiamo persino modificare in nostro concetto di «pane», perché se oggi lo usiamo come sinonimo di vitto, un tempo era un vezzo culinario delle classi agiate. E ciò che oggi noi riteniamo scontato, nell’Ottocento era una prelibatezza per una minoranza.

Per quanto concerne i tipi di alimenti, balza all’occhio lo scarso utilizzo della pasta, con preferenze verso il riso, asciutto o in brodo e la polenta. Assenza di pesce di mare e abbondanza per quello del lago, giunto attraverso i navigli: poca variazione rispetto a oggi per formaggi e le carni, se non per la quantità assai limitata, soprattutto per queste ultime.

Si diffonde invece la «moda del frutto e del dolce»: questi ultimi prevedono varie ricette, con l’utilizzo prima dello zucchero di canna, poi, verso la metà dell’Ottocento, dello zucchero di barbabietola, prodotto dalle prime raffinerie di Milano, come l’Azimonti del 1855. Inoltre, le classi agiate continuano a consumare cioccolata, anche alla mattina, e possibilmente aromatizzata alla cannella, oppure degustano durante la giornata l’«agher de zeder», fatto con acqua calda, liquore di cedro, zucchero e limone.

La frutta consumata è quella stagionale più disponibile nelle campagne per il ceto basso, mentre per quello agiato la varietà e la disponibilità sono maggiori e soprattutto gli agrumi, diventano per i più piccoli un dono-dessert: limoni e arancie arrivano dal sud Italia e costituiscono una prelibatezza.

Nei primi anni del XIX secolo diventa importante non solo il tipo di alimento ma anche la qualità e la presentazione a tavola.

Nel 1850 viene pubblicata «L’arte del convitare», secondo cui un pranzo di buon gusto prevede cinque o sei portate, con almeno un fritto, un lesso e un arrosto, nonché una chiusura con un dolce o gelato. Inoltre un ricevimento nobile prevede almeno tre menù, tutto viene messo in tavola e viene servito dai camerieri in base alle esigenze dei convitati.

In quell’epoca, presso la nobiltà e la borghesia, si mangiava tutti insieme seduti al tavolo e gli orari erano differenti rispetto agli attuali. Al mattino si faceva colazione (non pranzo) e alla sera il pranzo unico (pranzo o cena) intorno alla cinque del pomeriggio, eliminando così tutti gli altri pasti giornalieri. Alcuni poi andavano a teatro e mangiavano nei palchi, oppure uscivano per mangiare un altro spuntino nei ristoranti dei dintorni.

A titolo esemplificativo, è importante entrare nel vivo di un pasto tipico borghese benestante o nobile milanese, affrontando anche gli alimenti specifici.

Generalmente il pasto si apre con il risotto, in brodo o asciutto, realizzato con midollo di bue, cipolla tritata, brodo, cervellata, cacio lodigiano e zafferano.

Si prosegue con le carni, possibilmente di manzo, cucinate in almeno tre modi differenti: lessata, arrosto e in umido, oppure si mangiava anche pollame e selvaggina.

I salumi erano molto più grassi e il formaggio più usato era il lodigiano.

Il tutto veniva annaffiato da vino locale, lo bevevano tutti, anche i bambini. E i nobili soprattutto, per dimostrare la loro ricchezza, offrivano rigorosamente quello prodotto dalle proprie tenute.

In conclusione, come già anticipato, un pasto dell’Ottocento deve concludersi con un sorbetto o un gelato con gusti molto differenti rispetto agli attuali.

Alcuni esempi: sorbetto «brulè» con zucchero arrostito; «classegh» con pere, limoni, aranci, zucchero e acqua; «d’Almerin» con uova, vino Malaga, cannella e zucchero; «de marzapane» con mandorle tritate e vaniglia; «de poc» con succo di limone e rhum; «Moscaa» con capelvenere, uova, limoni e zucchero; «romantegh» con latte, zucchero, vaniglia, sugo di lamponi e rhum.

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Fonti:

  • Archivio storico diocesano di Milano, sez. Manoscritti
  • Archivi storici ecclesiastici locali

 

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