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GOCCE DI CULTURA

Benedetto XVI al Bundestag di Berlino

Sintesi dell’intervento del prof. don Maurizio Ormas tenuto nel corso dell’incontro del Cento Culturale Milanese, il 1 dicembre 2011 presso l’Auditorium Agorà a Milano, dal titolo: Come possiamo distinguere tra il bene e il male?, dedicato al recente discorso del Santo Padre ai parlamentari del Bundestag di Berlino

28 Febbraio 2012

In questo discorso al Parlamento Federale di Berlino, tenuto nel corso di un viaggio che si annunciava difficile e di fronte a un uditorio in cui i cristiani rappresentavano una minoranza e i cattolici una minoranza nella minoranza, il papa ha detto con chiarezza che era sua «intenzione essenziale» invitare a  una discussione pubblica sui fondamenti del diritto dello stato liberale che versa in «una situazione drammatica che interessa tutti». 

Il discorso prende avvio da una citazione di sant’Agostino che nel De civitate Dei dice: «Togli il diritto e allora che cosa distingue lo Stato da una grossa banda di briganti?», visto che la separazione del potere da un autentico diritto non può che portare a quelle gravi conseguenze che la Germania ha dovuto amaramente sperimentare nel corso del ‘900 da parte dei due totalitarismi che l’hanno dominata.

Dal momento che «l’uomo è in grado di distruggere il mondo… può manipolare se stesso… ed escludere altri esseri umani dall’essere uomini… come possiamo distinguere tra il bene e il male, tra il vero diritto e il diritto solo apparente?».

Mentre infatti il criterio della maggioranza può costituire un metodo appropriato per regolare la maggior parte delle questioni giuridiche, «è evidente che nelle questioni fondamentali del diritto nelle quali è in gioco la dignità dell’uomo e dell’umanità, il principio maggioritario non basta» a guidare i legislatori. Essi stessi devono cercare i criteri del proprio orientamento, che d’altra parte non sono affatto evidenti di per sé.

Come riconoscere allora ciò che è giusto? «Nella storia, gli ordinamenti giuridici sono stati quasi sempre motivati in modo religioso», dice il papa, che però rileva come il cristianesimo non ha mai imposto allo Stato e alla società un ordinamento giuridico fondato sulla rivelazione; e aggiunge che «ha invece rimandato alla natura e alla ragione quali vere fonti del diritto; ha rimandato all’armonia tra ragione oggettiva e soggettiva, un’armonia che però presuppone l’essere ambedue le sfere fondate nella Ragione creatrice di Dio». La ragione umana creata a immagine e somiglianza di Dio, cioè, era ritenuta proporzionata e adeguata a riconoscere nella natura la ragione che Dio vi ha immesso all’atto della creazione.

I teologi cristiani infatti si sono associati a un movimento culturale cominciato nella Roma precristiana quando «si ebbe un incontro tra il diritto naturale sociale sviluppato dai filosofi stoici e da autorevoli maestri del diritto romano». Probabilmente il papa allude a testi di Cicerone come quello del De republica, in cui si sostiene che «c’è una legge comune a tutti che coincide con la vera ragione che è conforme a natura ed è eterna e immutabile, espressione del comando e della sovranità di Dio», o quello del De legibus, in cui si afferma che «noi siamo nati per la giustizia e il diritto non si basa sull’opinione ma sulla natura».

«Per lo sviluppo del diritto e per lo sviluppo dell’umanità – rileva il papa – è stato decisivo che i teologi cristiani abbiano preso posizione contro il diritto religioso, richiesto dalla fede nelle divinità, e si siano messi dalla parte della filosofia, riconoscendo come fonte giuridica valida per tutti la ragione e la natura nella loro correlazione». Del resto, anche san Paolo, nella sua Lettera ai Romani,  aveva affermato: «Quando i pagani, che non hanno la Legge [la Torà di Israele], per natura agiscono secondo la Legge, essi… sono legge a se stessi. Essi dimostrano che quanto la Legge esige è scritto nei loro cuori, come risulta dalla testimonianza della loro coscienza» (Rm 2, 14s), mettendo così in luce i due concetti fondamentali di natura e di coscienza.

È difficile negare che la Chiesa, evitando la via confessionale, abbia fatto una vera e propria scelta di laicità.

 

Di tale concezione sono frutto, passando attraverso il Medioevo cristiano e l’Illuminismo, la prima “carta dei diritti umani” stilata nel 1539 da Francisco de Vitoria, dell’Università di Salamanca, in difesa degli indios americani, la Dichiarazionedei diritti dell’uomo del 1948, la Costituzione Italiana dello stesso anno e la Legge Fondamentale tedesca del 1949.

A  partire dagli anni sessanta del secolo scorso, però, «è avvenuto un drammatico cambiamento della situazione», a tal punto che «l’idea del diritto naturale è considerata oggi una dottrina cattolica piuttosto singolare, su cui non varrebbe la pena discutere al di fuori dell’ambito cattolico, così che quasi ci si vergogna di menzionarne anche soltanto il termine». Quale la ragione di tale mutamento?

Il papa segnala la tesi secondo la quale dalla natura non sarebbe possibile in realtà ricavare alcun suggerimento etico per la vita umana, tesi basata sulla concezione positivista di natura e ragione, oggi quasi generalmente accettata. A questo proposito egli osserva che «se si considera la natura – con le parole del giurista positivista Hans Kelsen – "un aggregato di dati oggettivi, congiunti gli uni agli altri quali cause ed effetti", allora da essa realmente non può derivare alcuna indicazione che sia in qualche modo di carattere etico». Si tratta in questo caso di una natura intesa come pura materia, le “cause materiali” di san Tommaso d’Aquino, che nulla ha da suggerire all’ethos dell’uomo.

D’altra parte, la stessa osservazione vale per «la ragione in una visione positivista, che da molti è considerata come l’unica visione scientifica». Essa, considerandosi autosufficiente e «relegando tutte le altre realtà culturali allo stato di sottoculture… riduce l’uomo, anzi, minaccia la sua umanità», perché ignora i bisogni immateriali da cui egli è costituito: la libertà, l’amore, la giustizia, la verità. Una ragione così intesa non è più in grado di distinguere se qualcosa è bene o male ma solo di rispondere alla domanda se funziona o no. Essa «assomiglia agli edifici di cemento armato senza finestre, in cui ci diamo il clima e la luce da soli e non vogliamo più ricevere ambedue le cose dal mondo vasto di Dio. Bisogna tornare a spalancare le finestre, dobbiamo vedere di nuovo la vastità del mondo, il cielo e la terra ed imparare ad usare tutto questo in modo giusto».

Come fare?  «Come può la natura apparire nuovamente nella sua vera profondità, nelle sue esigenze e con le sue indicazioni?».

Per rispondere a questa domanda il papa invita a riscoprire un altro modo di intendere la natura, di cui la coscienza ecologica, che proprio in Germania si è particolarmente sviluppata, è esempio. «Persone giovani si erano rese conto che nei nostri rapporti con la natura c’è qualcosa che non va; che la materia non è soltanto un materiale per il nostro fare, ma che la terra stessa porta in sé la propria dignità e noi dobbiamo seguire le sue indicazioni». Tali indicazioni non sono altro che le “cause finali” di cui parlava san Tommaso. Per natura di una cosa, egli non intendeva la sua struttura fisica, il come funziona, ma la sua finalità. La natura dell’uomo non è data dalla somma dei suoi apparati (cardiocircolatorio, respiratorio ecc.) ma dalle finalità della sua vita: entrando in relazione con la realtà, conoscere, esercitare la volontà, amare.

Dopo di che il santo padre decide di «affrontare con forza ancora un punto che oggi come ieri viene largamente trascurato: esiste anche un’ecologia dell’uomo. Anche l’uomo possiede una natura che deve rispettare e che non può manipolare a piacere». Infatti, «l’uomo non crea se stesso.Egli è spirito e volontà, ma è anche natura, e la sua volontà è giusta quando egli ascolta la natura, la rispetta e quando accetta se stesso per quello che è, e che non si è creato da sé. Proprio così e soltanto così si realizza la vera libertà umana». E’, questo dell’ecologia umana, un tema che sta molto a cuore a Benedetto XVI, che già aveva trattato al n. 51 della Caritas in veritate, dove spiegava che «se non si rispetta il diritto alla vita e alla morte naturale, se si rende artificiale il concepimento, la gestazione e la nascita dell’uomo, se si sacrificano embrioni umani alla ricerca, la coscienza comune finisce per perdere il concetto di ecologia umana e, con esso, quello di ecologia ambientale».

Se la natura ha delle indicazioni da darci che vanno rispettate, è ragionevole pensare che una volontà abbia messo in essa queste norme. «Ciò, d’altra parte, presupporrebbe un Dio creatore, la cui volontà si è inserita nella natura». Perché non accettare questa possibilità?

E’ proprio su tale base che sono state sviluppate l’idea dei diritti umani, l’idea dell’uguaglianza di tutti gli uomini davanti alla legge, la dignità umana di ogni singola persona e la consapevolezza della sua responsabilità personale. Conclude allora Benedetto XVI: «Queste conoscenze della ragione costituiscono la nostra memoria culturale. Ignorarla o considerarla come mero passato sarebbe un’amputazione della nostra cultura». Essa infatti definisce i criteri del diritto che è nostro compito storico difendere e salvaguardare.

M:P: