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In Duomo

Prima di Avvento: «Tutti abbiamo bisogno, nella paura, di qualcuno che ci tenga la mano»

L’Arcivescovo ha presieduto in Duomo la Celebrazione eucaristica della I Domenica dell’Avvento ambrosiano. Prima della Messa ha dialogato con i nonni, invitati specificamente per l’occasione. «Trasmettete esperienze di vita», ha indicato Delpini

di Annamaria Braccini

12 Novembre 2017

Un dialogo semplice, informale che tocca tanti problemi dei nostri giorni, dal rapporto intergenerazionale ai nuovi pericoli per i giovani, dalla responsabilità alla volontà di esserci dei nonni, non solo come baby sitters. Si perché tre di loro, sedendo ai piedi dell’altare maggiore del Duomo insieme all’Arcivescovo, riflettono sul ruolo, appunto, dei nonni.Inizia così la prima Domenica dell’Avvento ambrosiano in Cattedrale, con questi invitati particolari e attentissimi, i nonni, che giungono in massa, mandando le loro adesioni fino a poche ore prima dell’incontro, come spiegano i responsabili del Servizio per la Famiglia, i coniugi Luigi Magni e Michela Tufigno.

Inizia Maria Grazia già nonna di Leo due anni, e che lo sarà ancora a dicembre di un altro nipotino. Proprio pensando allo sguardo di meraviglia dei più piccoli, chiede: «come possiamo tenere aperto tale stupore e permettere che cresca la dimensione interiore dello spirito dei bambini in un mondo che non facilita tutto questo?».

«Siamo qui insieme per celebrare l’inizio dell’Avvento e il patrimonio che siete voi nonni. Anzitutto voglio dirvi che la Chiesa è vostra alleata», spiega monsignor Delpini, che subito osserva: «Non sono nonno, quindi, non posso insegnarvi come si fa a esserlo. Credo, tuttavia, che lo scambio di esperienze possa aiutare a non disperdere quell’‘oh’ di meraviglia che, seppure scomparirà inevitabilmente», si può mantenere vivo «come una dimensione alta, come spiritualità dello stupore». Una capacità di vedere le cose reagendo al mondo appiattito, aggiunge l’Arcivescovo, usando la metafora della mancanza di profondità dello schermo della TV o dei computer. «Al contrario sappiamo che esiste una ruvidità della vita e delle cose e voi potete trasmetterla, insegnando magari a cucinare, per il gusto di mettere le mani laddove nasce il cibo, ad esempio. Lo stupore infantile si perde, ma persiste una riserva che voi custodite come trasmissione di esperienze di vita».

Come a dire, occorre avere fiducia e domandarsi, semmai, quale siano, oggi, le tentazioni contro lo stupore che Delpini identifica nella «pressione sociale e nell’omologazione». Evidente che, in questo contesto, i nonni possano fare tanto, «vigilando di fronte a mode massificanti con la fierezza di essere liberi».

Da uno dei nonni aderenti all’Associazione “Nonni 2.0” arriva la domanda su una responsabilità educativa che, pur essendo cruciale, non esaurisce l’impegno nei confronti dei nipoti. «Quali priorità, allora, perseguire?».

Ancora, un altro nonno si interroga sui problemi dei ragazzi, con le tante questioni poste dai social, con la sorta di autismo spirituale sembra attanagliare tanti giovani. «Aumentano così – dice – le nostre preoccupazioni anche perché siamo nonni in un contesto radicalmente mutato rispetto a quello in cui siamo cresciuti. Come capire e farsi capire, quale il linguaggio? La Chiesa di Ambrogio è in grado di darci sostegno, magari con un progetto pastorale ad hoc?».

Da quest’ultima osservazione riparte monsignor Delpini. «La Chiesa ambrosiana siete voi, questo essere intraprendenti nel proporre Associazioni come “Nonni 2.0” o il “Movimento III Età”» (di cui è presente in Duomo l’assistente diocesano, monsignor Renzo Marzorati).

L’idea è semplice: «incontrarsi con originalità, con iniziative tra nonni nello stesso paese o movimento o perché si è già amici, ragionando su come si possa aiutare a trovare tentativi di risposta». Anche perché «essere nonni è un’esperienza di gioia».

Ne nasce qualche consiglio: «sembra quasi che un nonno, per esserlo bene, debba rincorrere i nipoti, ma non bisogna farsi condizionare dai nuovi linguaggi o dai computer. La paura di non essere aggiornati non fa bene. Il tema della preoccupazione non deve portare a una sorta di complesso di inferiorità».

Appunto perché «abbiamo qualcosa da dire, soprattutto su argomenti che i genitori non trattano. Un nonno che prega può dire tanto ai nostri ragazzi tanto sul pregare, sulla morte – che è un tabù -, sulla sessualità, sulla fiducia nel futuro, sul fatto che siamo stati creati per la felicità Dobbiamo affrontare gli argomenti che sono censurati dalle chiacchiere quotidiane. Anche se paiono non ascoltare, i giovani captano quello che si vuole trasmettere. Per questo dobbiamo avere fiducia. La società ha bisogno di gente che abbia tempo di impegnarsi. Essere bravi cristiani vuol dire rispondere ad alcuni bisogni anche “altri” dal fare il nonno, come fare il sindaco o il volontario. Così possiamo dare a questa società un volto più solidale e fraterno. Avere del tempo implica la responsabilità di come spenderlo. Talvolta i nostri giudizi sul presente e sulla gioventù sono uno troppo perentori e scoraggiati: coltiviamo, invece, la persuasione che il Signore attira tutti a sé. In profondità vi è più bene di quello che possiamo vedere in voi c’è tanto bene e i nipoti ne sono assetati. La bellezza, la freschezza, la verità dell’acqua fresca, alla lunga, sono più attrattive delle mode e degli artifici», conclude l’Arcivescovo poco prima dell’avvio della Celebrazione eucaristica, la cui omelia è un invito, ancora una volta, alla speranza .

L’omelia della I Domenica dell’Avvento ambrosiano

«In effetti quello che capita è motivo di spavento. Le notizie che circolano sui nostri mezzi di comunicazione, le prospettive che sono disegnate dalle previsioni e dalle fantasie che prevedono il futuro spaventano chi le prende sul serio», scandisce, infatti, in riferimento al brano evangelico di Marco appena proclamato.

«Lo spavento è un assalto di paura che genera panico, smarrimento, sconcerto. Lo spavento irrompe nella vita e quasi impedisce di pensare, di dare alle cose le giuste proporzioni; irrompe e trasforma le parole in grida, urla, lacrime, fa nascere una voglia di fuggire, di correre in qualche direzione, senza sapere dove: sarà un’uscita di sicurezza o sarà una trappola mortale?. Lo spavento travolge uomini e donne, adulti e giovani, ma trova particolarmente fragili i bambini: si spaventano anche per cose che fanno sorridere noi adulti. Perché tu che sei una donna o un uomo adulto non ti spaventi di fronte ad eventi e notizie? Forse sei diventato insensibile e cinico?».

Se persino il discorso di Gesù riportato dall’evangelista sembra fatto per generare spavento con i suoi crolli e distruzioni, carestie, disgrazie e dolori, descrizione di una catastrofe cosmica, come curare lo spavento?

In realtà, nella pagina della Scrittura è proprio il Signore a insegnarlo: «Una prima forma di cura consiste nel fatto che qualcuno ci tenga per mano in mezzo alla catastrofe naturale, all’insidia dei nemici. È necessario che una persona di fiducia ci manifesti la sua vicinanza affidabile».

Il pensiero va a chi, tuttavia, ne ha un bisogno in più come il bambino spaventato, l’uomo o la donna assaliti dal panico. «Tutti siamo chiamati ad essere quella presenza amica che è capace di offrire rassicurazione a coloro che sono travolti dalla paura».

Poi, una seconda via: la certezza della fede. «I credenti non lasciano alle spalle l’esperienza della rivelazione di Gesù come un buon ricordo, ma sperano in un incontro che non è ingenua aspettativa di un tempo migliore. Perciò attraversano anche il tempo della tribolazione e dell’inquietudine confidando nella promessa di Gesù. I cristiani sanno che anche la morte sarà vinta dal Risorto e, per questo, guardano avanti, tenendo viva la speranza».

Infine, l’ultima strada per non avere paura: «Vivere il tempo come occasione da non perdere, anche quando le circostanze sono avverse e il contesto ostile. La tribolazione non è motivo di spavento, ma occasione per non far mancare a nessuno il Vangelo. L’arte di cogliere l’occasione: questa è la vigilanza cristiana, la testimonianza che siamo chiamati a dare, quella parola che si aspettano i nostri giovani; la risposta alla provocazione del momento, lo splendore che l’imprevisto rivela, come quando crolla un muro e appare un tesoro sconosciuto».

E, alla fine, c’è ancora tempo per un ringraziamento e una riflessione dell’Arcivescovo apparentemente scherzosa, ma profondamente umana: «Il mio desiderio è confermare un’alleanza con voi nonni, con la vostra responsabilità educativa, per ribadire il vostro ruolo di benedizione nei confronti dei nipoti e della famiglia. Desidero raccomandare la spiritualità del nonno che è diversa – anche se sono la stessa persona – dalla spiritualità “della suocera”. Vi affido un incarico: come dono di Natale, scrivete una lettera personale al nipote che vedete più in crisi, magari, un quindicenne che ha bisogno di una testimonianza vera, evitando i luoghi comuni degli auguri. Sarà il regalo più gradito: i danari li spenderanno, ma la lettera la conserveranno».

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