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Immigrazione

Questioni e problemi nell’accoglienza dei minori stranieri non accompagnati

L’ultimo report del Ministero del lavoro ne indica 18.303 censiti al 31 dicembre 2017

di Cesare BERETTA

7 Maggio 2018

Nel 2017 il legislatore ha introdotto norme per disciplinare l’accoglienza del minore straniero non accompagnato, demandandone l’attuazione a prefetture, questure, enti locali, che possono avvalersi di altre strutture convenzionate. L’operatività concreta è affidata a strumenti quali protocolli e convenzioni.

Minore straniero non accompagnato (Msna) è l’infradiciottenne extracomunitario che sia in Italia, privo di rappresentanza da parte dei genitori o di altri adulti legalmente responsabili. L’accoglienza deve assicurargli benessere e sviluppo anche sociale nel suo “superiore interesse”.

Il Msna ha diritto allo stesso trattamento degli italiani quanto a frequenza scolastica fino ai 16 anni, cui corrisponde l’obbligo di vaccinazione; ha diritto all’iscrizione al Ssn, anche se entrato irregolarmente in Italia (articolo 63 comma 4 Dpcm 12 gennaio 2017).

L’ultimo report di monitoraggio del Ministero del lavoro indica in 18.303 i Msna censiti al 31 dicembre 2017. Focalizzo le mie considerazioni sui 16/17enni, per evidenziare problemi e difficoltà che incontrano tutori e responsabili di comunità in cui i Msna vengono collocati dopo la prima accoglienza. La legge disciplina la procedura per identificare i minori stranieri e per essere certi che essi siano non accompagnati. Si danno peraltro casi di minori entrati regolarmente in Italia, accompagnati da un genitore e poi qui volutamente abbandonati. Rappresentante legale del minore è anzitutto il responsabile della struttura di accoglienza, fino alla nomina di un tutore. Essi sono gravati da compiti notevoli: ottenimento del codice fiscale e iscrizione del minore al Ssn. Adempimento dell’obbligo di vaccinazione, con il previo difficile accertamento di eventuali vaccinazioni nel Paese di origine. Essi devono curare l’inserimento del minore in una scuola, coinvolgendo il servizio sociale che lo ha in carico.

Per la scuola il problema è serio. Sovente i minori sono analfabeti oppure con livelli di scolarità molto bassi, ignari della lingua italiana. Corsi di alfabetizzazione costituiscono la condizione prima per l’inserimento nel mondo scolastico. Il diploma di terza media può essere conseguito anche dopo i 18 anni, quando l’interessato è già dimesso dalla comunità e quando gli è scaduto il permesso di soggiorno per minore età.

La legge attribuisce importanza allo sviluppo sociale del minore. Ne sono avvantaggiati quelli affidati a strutture dotate di laboratori didattici o capaci di elaborare un progetto educativo, dotate magari di convenzioni con aziende per tirocini formativi.

Una forma di sviluppo sociale è quella della partecipazione ad attività sportive. In questo campo si assiste a un paradosso. Norme adottate dalla Fifa, e di riflesso dalla Federazione italiana gioco calcio, per evitare speculazioni a danno dei minori stranieri o frodi di cui essi siano strumenti inconsapevoli finiscono per essere un freno alla possibilità di partecipazione dei minori così accolti a campionati giovanili, con la sola finalità di farli integrare coi loro coetanei.

Nella stagione sportiva 2014/2015, il Tribunale arbitrale dello sport, in ossequio alle norme federali, non riconoscendo il tutore o l’affidatario come sostitutivi dei genitori, rigettò tutte le richieste di tesseramento in favore dei minori stranieri (non mi risulta una diversa situazione).

Il permesso per minore età non consente all’ultrasedicenne di svolgere attività lavorativa e dunque il neo maggiorenne arriva impreparato su questo versante. Una soluzione è quella di avviare la procedura per protezione internazionale. Trascorsi 60 giorni dalla domanda, il minore può essere avviato al lavoro.

Al 18° anno il permesso di soggiorno può essere convertito in uno per motivi di studio, di accesso al lavoro oppure di lavoro, per esigenze sanitarie e di cure. Il minore deve avere seguito un progetto di integrazione, gestito o da enti pubblici o da privati autorizzati. La precondizione è che egli si trovi in Italia da non meno di tre anni e abbia seguito il progetto per almeno due anni, che abbia alloggio, lavoro o sia in possesso di un contratto di lavoro anche non ancora iniziato.

Le strutture di accoglienza dotate di convenzioni con aziende fanno iniziare dei tirocini gratuiti che possono sfociare in una proposta di assunzione e, in tal caso, si facilita la possibilità di rilascio di permesso in attesa di occupazione.

Perché se il neo maggiorenne si ritrova solo, senza un contributo economico, non ancora avviato al lavoro, senza più l’ombrello protettivo garantito al minore, si rischia di consegnarlo alla clandestinità con tutte le conseguenze anche in termini di avvicinamento ad ambienti dediti al crimine.

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