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Riflessione

«Parce sepulto», non infierire su chi è morto

Costruire un “sistema” in cui sul male non si organizzi un commercio

di Gianfranco GARANCINI

7 Marzo 2017

Varrà la pena di ricordare, ancora in questi giorni, il lamento pio di Polidoro nel terzo canto dell’Eneide: ad Enea, che cercava di strappare un rametto, in una landa desolata, gridava «Parce sepulto», risparmia, lascia in pace, non infierire su chi è morto. Il rispetto dei morti non è soltanto una cerimonia, ma è un’opera di misericordia.

Il suicidio di un uomo è comunque una sconfitta, ma non per lui: per chi non è stato in grado di strapparlo al buio, di una società che non è stata in grado di accompagnarlo, ma lo ha lasciato solo. Anche se, come si vuol far credere, ci sono dei suicidi che muoiono contenti.

Ma il problema del suicidio assistito resta, e sta tutto nel rischio che diventi una delle tante forme ben pubblicizzate di guadagno sui mali altrui, di commercio sull’altrui solitudine. Parce sepulto, ma non dimenticare che di queste cose non si può fare commercio, e – soprattutto – non si deve menare vanto. L’istigazione al male, in una società bene organizzata, per un ordinamento fondato sul valore della persona umana, è sempre qualcosa di negativo, che non costruisce ma distrugge. L’assistenza è per il bene, mai per il male: per colmare un’ingiustizia, mai per consolidarla.

E certo il dolore, la malattia, la disperazione sono un’ingiustizia, una delle tante, per l’uomo: ma lo sforzo di chi cerca di perseguire la giustizia non può essere quello di sopprimere l’uomo per sopprimere il dolore. Né quello di costruire un commercio per lucrare sul dolore, la malattia, la disperazione.

Parce sepulto, dunque; ma non tollerare quelli che ci lucrano, e ci organizzano (o vorrebbero organizzarci) un commercio.

Ma non è il solo.

Si pensi al commercio delle armi: quegli stessi che ad ogni pié sospinto proclamano di volere la pace, in realtà sono quelli che producono le armi. Si pensi al commercio dei migranti: quegli stessi che rifiutano sdegnosamente e deportano i migranti, sono poi quelli che creano le condizioni economiche e politiche perché si produca quella povertà, quella tensione, quella violenza istituzionale dalla quale i migranti cercano di fuggire.

Ha detto recentemente (sabato 4 febbraio 2017) il Papa: «Ma – e questo non lo si dirà mai abbastanza – il capitalismo continua a produrre gli scarti che poi vorrebbe curare. Il principale problema etico di questo capitalismo, è la creazione di scarti per poi cercare di nasconderli o curarli per non farli più vedere. Una grave forma di povertà di una civiltà è non riuscire a vedere più i suoi poveri, che prima vengono scartati e poi nascosti. Gli aerei inquinano l’atmosfera, ma con una piccola parte dei soldi del biglietto pianteranno alberi, per compensare parte del danno creato. Le società dell’azzardo finanziano campagne per curare i giocatori patologici che esse creano. E il giorno in cui le imprese di armi finanzieranno ospedali per curare i bambini mutilati dalle loro bombe, il sistema avrà raggiunto il suo culmine». Diceva ancora (domenica 31 luglio 2016, tornando dalla Polonia): «Il terrorismo – non so se dirlo, perché è un po’ pericoloso – cresce quando non c’è un’altra opzione, quando al centro dell’economia mondiale c’è il Dio denaro e non la persona, l’uomo e la donna. Questo è già il primo terrorismo. Hai cacciato via la meraviglia del creato, l’uomo e la donna, e hai messo il danaro. Questo è terrorismo di base contro tutta l’umanità».

Parce sepulto, dunque, non infierire su chi ha già avuto la propria pena: semmai, se sai, e se vuoi, prega per lui. Ma combatti chi sul dolore e sulla debolezza, sulla povertà costruisce un commercio.

È notizia di questi tempi: ogni giorno scompaiono in Italia 28 minori migranti, 10 mila minori non accompagnati scomparsi al loro arrivo in Europa. Lasciamo la responsabilità delle cifre a chi le ha rese pubbliche (Oxfam, Europol, The Guardian, Avvenire…): ma il fatto resta; così come resta l’ombra che questi giovani finiti nel nulla siano stati oggetto di un commercio finalizzato (Dio ne scampi) alla creazione di una riserva di “pezzi di ricambio”, per trapianti di organi.

Si potrebbe andare avanti così, raccontando del commercio che uomini fanno di altri uomini, grandi e piccoli, migranti e indigeni, morti e non ancora nati. Qui sta (dovrebbe stare) il senso di un impegno per quanti si rendono conto della “truce ora dei lupi” che stiamo vivendo e di quanti – rendendosene conto – si domandano che cosa potrebbe fare il diritto. Parce sepulto, senza credere che, ultima vittima d’un ultimo abbandono, la colpa sia sua. Ma costruire un “sistema”, un ordinamento in cui sul male, sul dolore, sull’abbandono, sulla debolezza non si organizzi un commercio; fare sì che i farisei non possano più impiantare industrie del male per poi infierire sulle vittime. Di tutti i mali del mondo, di tutte le industrie del male del mondo.