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Giornata del malato

Pazienti terminali, non abbandonare malati e familiari a loro stessi

La qualità dei servizi assistenziali fa la differenza. «La mancanza di un adeguato accompagnamento può favorire decisioni estreme», spiega Fabrizio Giunco (Istituto Palazzolo). L’importanza degli hospice: «Familiari di ricoverati, dopo la morte del loro caro, rimangono come volontari nella nostra struttura», rileva Carla Dotti (Sacra Famiglia)

di Cristina CONTI

11 Febbraio 2018

Malati terminali di cancro, persone affette da demenza o da malattie croniche al cuore, ai polmoni e al fegato; ma anche uomini e donne affetti da sclerosi laterale amiotrofica (Sla) o che si trovano in stato vegetativo in seguito a incidenti: tanti i casi in cui la vita nelle sue ultime fasi è legata ad apparecchiature di ventilazione meccanica e di nutrizione artificiale. E le decisioni rimangono, nella maggior parte dei casi, a carico delle famiglie. «A fare la differenza in questi casi è la qualità di servizi. Le decisioni più estreme avvengono quando manca il giusto accompagnamento», spiega il dottor Fabrizio Giunco, direttore medico dei servizi socio-sanitari e responsabile dei Servizi cure palliative dell’Istituto Palazzolo di Milano Fondazione don Carlo Gnocchi Onlus. Quando ci sono diagnosi così gravi è giusto dare alle famiglie il tempo di riprogettarsi: anticipare le cure in modo corretto, fornire informazioni ampie sulle possibili scelte future, anche remote. «La giusta consapevolezza dell’evoluzione della malattia può aiutare ad aumentare anche le aspettative di vita, perché permette di evitare interventi e cure inutili. I familiari e i malati non devono essere abbandonati a loro stessi», aggiunge Giunco.

Attualmente le strutture più diffuse per questo tipo di assistenza sono gli hospice, ormai entrati nei Lea (Livelli essenziali di assistenza), e per i quali l’Italia è vicina agli standard europei in termini sia di qualità, sia di quantità. Ma queste strutture entrano in causa solo nelle ultime settimane di vita del malato. “In progetto nel prossimo futuro c’è la costruzione di altre strutture per permetterne un uso più estensivo – specifica Giunco -. La Regione Lombardia ha poi già iniziato a organizzare corsi di formazione per i professionisti che andranno a lavorare in queste realtà, il passo successivo sarà dunque quello di creare una formazione specifica nelle università e nelle scuole di specializzazione».

Strutture che, oltre ai medici, comprendono educatori, animatori e fisioterapisti, in grado di aiutare i malati e i loro cari. Gli hospice, diffusi dagli anni 2000, sono ormai un punto di riferimento in Lombardia. Il costo è a carico della Regione. «Da quando ci sono gli hospice, non ho mai ricevuto richieste di eutanasia – spiega la dottoressa Carla Dotti, direttore sanitario della Fondazione Istituto Sacra Famiglia Onlus -. Qui i pazienti e le loro famiglie vengono assistiti a tutto tondo. E mi è anche capitato di ricevere lettere di ringraziamento da parte delle famiglie degli ospiti: una cosa di cui difficilmente si sente parlare, di solito a fare notizia sono le lamentale contro la sanità. Io credo invece di aver ricevuto le più grandi forme di stima e di gratitudine proprio dai parenti di queste persone». L’hospice della Fondazione è a Inzago, inserito nella Rsd, dove sono ricoverate le persone in lunga degenza. E qui c’è anche una compagnia teatrale, “Gli scarrozzati”, formata dagli stessi pazienti ricoverati. «Sono molti, inoltre, i familiari di persone ricoverate nell’hospice che, dopo la morte di una persona cara ricoverata rimangono poi qui come volontari della struttura», conclude la dottoressa Dotti.

 

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