Sirio 26-29 marzo 2024
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Brianza

Seregno, il monito di Delpini a «svegliarsi» dall’indifferenza davanti al male che incombe

Un richiamo alla vigilanza nella dura omelia dell’Arcivescovo nella località i cui vertici amministrativi sono stati travolti da una bufera giudiziaria: «Gli onesti ricostruiscano la buona fama della città»

di Luigi LOSA

17 Ottobre 2017
Monsignor Delpini saluta i fedeli nella parrocchia di Sant'Ambrogio

«State attenti perché quel giorno non vi piombi addosso all’improvviso». Ha iniziato la sua omelia con la citazione di un versetto del Vangelo di Luca appena letto, monsignor Mario Delpini, davanti ai fedeli di Seregno che gremivano la chiesa parrocchiale di Sant’Ambrogio la sera di venerdì scorso. Ma il tono e il timbro della voce, così come lo sguardo severo, hanno fatto subito comprendere che l’Arcivescovo, arrivato per ricordare e celebrare con l’Eucarestia il centenario dell’ultima apparizione della Madonna a Fatima (compatrona della parrocchia), intendeva esprimere – con chiarezza e precisione, ma anche con saggezza e premura pastorale – il suo pensiero sulla bufera giudiziaria, politica e mediatica che si è abbattuta su Seregno il 26 settembre, con l’arresto del sindaco Edoardo Mazza, altri provvedimenti a carico di diversi esponenti politici, amministrativi e tecnici del Comune e il conseguente scioglimento dell’intero Consiglio comunale. Il riferimento a «quel giorno», infatti, è tornato almeno una decina di volte durante l’omelia, ripetuto sempre due volte e con tono deciso.

«Un aggressore devastante»

«Quel giorno, quel giorno può essere anche un fatto di cronaca che apre uno scenario impensato, che porta alla luce un male che si sapeva che poteva esserci, ma sembrava un malessere da nulla e invece si rivela un aggressore devastante. Quel giorno può essere oggi, può essere il giorno in cui la città è stata turbata dalle notizie di cronaca», ha sottolineato monsignor Delpini, facendo proprio il rimprovero di Gesù nel brano evangelico a quanti non si rendono conto del male che incombe.

«E allora la voce di Gesù dice così: svegliatevi, voi che avete così a cuore il benessere da essere disposti a vendere l’anima per un po’ di benessere; non si tratta, come forse può sembrare, di un piccolo compromesso innocuo, si tratta di una vita che si consegna alla schiavitù, che vende l’anima per avere un po’ di benessere in più. Svegliatevi, voi che avete così a cuore i fatti vostri da essere ciechi muti e sordi su quello che capita intorno a voi, da essere indifferenti alle sofferenze e alle invocazioni di quelli che vi vivono accanto», ha proseguito l’Arcivescovo, sferzando un uditorio che seguiva le sue parole in un silenzio carico di tensione e di emozione.

Non meno netto era poi il giudizio dell’Arcivescovo rispetto sia a quanto accaduto, sia al contesto in cui è avvenuto. Riprendendo l’ammonimento circa il «comparire davanti al Figlio dell’Uomo», Delpini ha osservato che «forse l’evocazione del giudizio finale è in realtà un messaggio per l’oggi e per smentire l’illusione che ognuno è giudice a se stesso, che l’uomo può porsi al centro del mondo e quindi aver quasi ragione di manifestare insofferenza di fronte a chi pretende di giudicarlo».

L’esortazione al riscatto

Stabiliti i punti fermi di una generale e colpevole mancanza/insufficienza di “vigilanza”, l’Arcivescovo ha spostato il tiro sulla strada da intraprendere per reagire e per riprendersi. E lo ha fatto partendo dall’esempio di Maria, che «diventa maestra per la via da percorrere, perché Maria non ha mai preteso di essere padrona della sua vita, di dire: “La vita è mia e ne faccio quello che voglio e chi mai può avere il diritto di giudicarmi?”. No, Maria si è definita così: “Ecco, sono la serva del Signore. Ecco, vivo la vita come una risposta e non come una proprietà privata”».

Di qui l’esortazione a non perdere tempo e a trasformare «quel giorno» in una occasione di riscatto e di rinnovato impegno «per ritrovare la fierezza per il bene che si può fare, per ricostruire la buona fama della città dove migliaia di persone si alzano ogni mattina e si mettono di tutta fretta a fare del bene». Sino a una conclusione di una concretezza persino stupefacente, non fosse per la carica di “paternità” che vi affiorava: «Allora a me sembra che questo momento è il giorno opportuno perché gli onesti, i lavoratori, la gente seria che abita in questa città si alzi in piedi e dica: noi faremo un bene così grande, noi ci renderemo famosi per imprese così onorevoli, noi prenderemo l’iniziativa per cose così belle che la nostra città dimenticherà i fatti di cronaca che ci hanno turbato e saremo capaci di dire: la nostra città è famosa per il bene che ci fanno i buoni, per la serietà con cui gli onesti operano il bene, per quella semplicità con cui ci svegliamo al mattino e diciamo: che bello avere una giornata per far del bene e a questo dedichiamo tutte le forze che abbiamo».

Tanto che – cosa del tutto inusuale e sorprendente – è echeggiato un «bravo!», seguito da uno scrosciante applauso che segnava la liberazione da un’angoscia repressa da più di due settimane.