Sirio 26-29 marzo 2024
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Milano

Consacrazione: vita di speranza che guarda oltre le nostalgie del passato e le manie del presente

La XXII Giornata Mondiale della Vita Consacrata è stata celebrata con momenti di confronto e dialogo e con l’Eucaristia presieduta, in Duomo, dall’Arcivescovo. Al termine della Messa è stato distribuito il questionario sul Sinodo appositamente dedicato a chi vive lo stato di Consacrazione

di Annamaria Braccini

2 Febbraio 2018

In un Duomo gremito, dove i diversi colori delle vesti delle religiose e i paramenti sacerdotali dei consacrati, così come le sfumature della pelle delle loro tante etnie differenti, si confondono in un armonioso arazzo di insieme, l’Arcivescovo presiede la Celebrazione nella XXII Giornata Mondiale della Vita Consacrata.
Nella festa liturgica della Presentazione del Signore, amata anche dalla devozione popolare come la “Candelora”, i gesti, in Cattedrale, sono solenni e antichi, con le candele che, benedette da monsignor Delpini, si accendono di tante fiammelle e con la Processione iniziale nella quale due diaconi portano la preziosa “Madonna dell’Idea”, antica icona della Presentazione al Tempio, dall’altare della Madonna dell’Albero all’altare maggiore. Oltre 30 i concelebranti, tra cui 4 Vescovi, i membri del Capitolo Metropolitano e del Consiglio Episcopale Milanese.
Monsignor Paolo Martinelli, vicario episcopale per la Vita Consacrata Maschile e le Nuove forme di Consacrazione – c’è naturalmente monsignor Luigi Stucchi, vicario episcopale per la Vita Consacrata femminile –, dice: «Con il Sinodo siamo chiamati a essere sempre di più una Chiesa viva, composta anche da fedeli di diverse culture e nazioni. In questo meticciato di culture la Vita consacrata è pienamente coinvolta, non solo perché molti Consacrati e Consacrate hanno stabilmente a che fare con tanti migranti, ma perché sono ormai centinaia i membri di Vita consacrata che appartengono a Istituti di origine non italiana, così come anche tradizionali Congregazioni presenti da molto tempo in Diocesi sono adesso comunità internazionali. Perché questo tempo di riforma sia fecondo, la Vita consacrata ha bisogno di sperimentare una immanenza sempre più viva nella Chiesa locale. Molti dei nostri carismi si manifestano capaci di esprimersi in culture diverse e di dare così un contributo originale al nostro essere Chiesa dalle Genti».
Una Chiesa nella quale i Consacrati guardano al futuro senza rimpianti per un passato più ricco di vocazioni e di religiosità diffusa, ma anche senza farsi prendere dalle ansie del mondo di oggi. Non essendo, insomma, cittadini di quei due paesi a cui dà immaginaria voce, l’Arcivescovo che significativamente indossa la Casula regalata dai cattolici cinesi a Paolo VI nel 1967: il paese della nostalgia e quello della frenesia.
Nel primo, «in cui vive l’orgoglio per ciò che si è realizzato, per le strutture avviate – la scuola, la casa per i poveri, l’ospedale –, non ci sono albe, ma solo tramonti; non ci sono eventi, ma solo commemorazioni; non ci sono sogni, ma solo ricordi, magari, per i tanti bambini che nascevano, per cui se ne poteva dare uno alla Chiesa e uno allo Stato».
Nel paese della frenesia, invece, «non si distingue tra il giorno e la notte, tra l’alba e il tramonto; non ci sono fratelli e sorelle, ma solo collaboratori e personale perché è importante essere concreti ed efficienti». Ed è qui che abita «la fretta e abitano le funzioni più che le persone; si cercano prestazioni più che rapporti di fraternità, si considera lo scopo per cui ciascuno può rendersi utile, piuttosto che la vocazione; si cerca l’efficienza piuttosto che la santità, risultati soddisfacenti piuttosto che gioie condivise e parole di sapienza».
Tra tutto questo ci sono, poi, le donne e gli uomini della speranza: «È venuto Gesù ad animare e a consolare coloro che aspettano, suscitando il rimedio della speranza che guarisce nostalgia e frenesia e che si chiama la Vita consacrata. Uomini e donne che aspettano la consolazione di Israele, cioè che sono testimoni della speranza affidabile offerta dalla promessa di Dio».
E questo per non arrendersi alle malattie della nostalgia e alle manie della frenesia. Infatti, «i Consacrati si impegnano in ogni cosa, sapendo che la salvezza non viene dalla quantità delle loro opere, ma dalla verità della comunione con il Signore. I Consacrati vengono da lontano e perciò sono interessati al passato, ma non lo rimpiangono, sono amanti del presente, ma non vi si perdono, sono interessati al futuro, ma non si illudono: piuttosto guardano in alto, credono, sperano, invocano che entri nelle tenebre la luce del Signore e venga il suo Regno».
Questo profilo delineato, in maniera insieme simbolica e concretissima, da Delpini sembra così divenire il coronamento migliore di una giornata in cui si è riflettuto a lungo sui temi della Vita consacrata attraverso affollati momenti di confronto e dialogo svoltisi in Curia e dedicati, prima della Celebrazione eucaristica, a “Diaconi e Vita consacrata in dialogo: una testimonianza di comunione che arricchisce il cammino della Chiesa ambrosiana” e a “L’accompagnamento di fraternità e di amicizia: testimonianze dei Diaconi e risonanze dei Consacrati”.
E, allora, a conclusione dell’Eucaristia, arriva «l’immensa gratitudine di tutta la Chiesa ambrosiana per tutto quello che la Vita consacrata rappresenta», come sottolinea l’Arcivescovo che dice anche di aver pensato a un premio per tutto il lavoro svolto, ma che, soprattutto chiede «la collaborazione generosa e intelligente per la buona riuscita del Sinodo minore, perché veramente la Vita consacrata ha qualcosa da dire sul tema della Chiesa dalle Genti costituita da tutti i popoli».

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