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Erba

Prima Via Crucis, a questa morte si appoggia chi vive

Una folla di fedeli e decine di sacerdoti, provenienti da tutta la Zona pastorale III, hanno camminato, con l’Arcivescovo, seguendo la croce. Un pensiero particolare è stato rivolto ai giovani per i quali monsignor Delpini si è detto «molto preoccupato»

di Annamaria BRACCINI

24 Febbraio 2018

Il nostro cammino che non è un vagare senza meta proprio perché il Signore salva. Per questo ogni volta che si segue la croce di morte e di risurrezione nella Via Crucis, non si attraversano solo le strade del nostro vivere quotidiano, ma si fa memoria viva e concreta di Gesù che cammina con noi.
La prima delle Viae Crucis che monsignor Mario Delpini guida come arcivescovo di Milano, percorrendo le vie di Erba per la Zona pastorale III-Lecco, è appunto tutto questo.
Nella sera dal freddo pungente, già molto prima dell’inizio del Rito sono in tantissimi a scendere dai pullmans che provengono dalle diverse realtà della Zona: ci sono i sacerdoti – tra cui il Vicario episcopale della III, monsignor Maurizio Rolla, con accanto monsignor Angelo Pirovano, responsabile della Comunità Pastorale “Sant’Eufemia” che riunisce le parrocchie della città e di alcuni paesi vicini –, il sindaco di Erba, Veronica Airoldi, con assessori e il presidente del Consiglio comunale, i membri della Confraternita del SS. Sacramento, le autorità militari sul territorio, gli Alpini e i volontari.
«Benvenuto, grazie per essere tornato tra noi: siamo onorati che lei celebri la prima Via Crucis quaresimale in un luogo che affonda le sue radici nel V secolo, quando da “Sant’Eufemia” si è irraggiata la fede nell’alta Brianza. La stessa fede ci riunisce qui stasera, per costruire una grande famiglia come chiede il Sinodo “Chiesa dalle Genti”, reso visibile dalla croce», dice monsignor Pirovano, nell’ampio spazio antistante proprio “Sant’Eufemia”, l’antica chiesa plebana, fulcro dell’irraggiamento del cristianesimo nell’erbese e che, non a caso, dà nome alla CP. Nelle quattro Stazioni (la I, IV, IX e XII, le stesse presso cui si sosterà in ognuna delle Viae Crucis zonali che hanno come titolo complessivo “Per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi”, in chiaro riferimento al Sinodo), si articola la Celebrazione che attraversa quartieri storici e nuovi di Erba tra canti, invocazioni, preghiera, la lettura biblica e le testimonianze, silenzio e raccoglimento.
Risuonano le parole del Vangelo di Giovanni e Marco, delle Lamentazioni, ma anche le riflessioni del Papa nel Venerdì Santo del 2016 e del beato monsignor Romero, martire sull’altare nel 1980. Così come si ascolta il racconto doloroso di un migrante e quello – bellissimo – di una ragazza immigrata ben inserita in un liceo milanese, dopo anni di rifiuto. Si transita davanti alla casa natale di monsignor Aristide Pirovano, apostolo dei lebbrosi in Brasile e si sosta anche negli spazi prospicienti all’asilo nido e alla Casa di riposo, mentre, per tutto il percorso, la gente si affaccia dalle finestre pavesate con drappi rossi cupo e oro e illuminate da piccole fiammelle poste anche sui marciapiedi. La Croce lignea realizzata appositamente per il Sinodo minore, in forma e misure sul modello di quella di san Carlo, viene portata tra le mani da 4 diversi fedeli, tra cui un ragazzo di colore e, nell’ultimo tratto, dall’autore del famoso presepe di Crevenna, mentre altri artisti della zona hanno realizzato le pitture che ornano le tappe.

La riflessione dell’Arcivescovo

«Non sottovalutare il soffrire e il morire di Gesù. Non contate Gesù crocifisso tra i crocifissi della storia come un numero in più nel tragico calcolo dei giusti ingiustamente uccisi. Non raccontate la vicenda di Gesù come una storia fra tante, una conferma che anche lui non ha potuto far niente di fronte alla crudeltà e alla stupidità umana», dice, aprendo la sua omelia, monsignor Delpini a conclusione dell’ultima Stazione davanti alla facciata della prepositurale di Santa Maria Nascente. «Infatti, questa morte è l’evento che sconfigge la morte, questo soffrire è la comunione che semina, in ogni soffrire, una vocazione all’amore: questa solitudine è lo spettacolo che attira tutti gli sguardi e li unisce in una comunione e questo strazio è il grido che squarcia il velo del tempio e rivela il volto di Dio e la sua presenza», aggiunge.
Se «il cammino per le strade del nostro vivere quotidiano non è solo per dire che il Figlio di Dio cammina con noi, questa Via Crucis è soprattutto per dire che, proprio camminando sulle strade della terra, Gesù ha salvato il nostro cammino dall’essere un vagare senza meta. Proprio il suo soffrire ha salvato il nostro soffrire dall’essere una smentita irreparabile della bellezza della vita. Proprio il suo morire sul legno maledetto ha aperto l’ingresso alla terra benedetta».
È questo, appunto, suggerisce ancora il Vescovo, perché i figli di Dio, che erano dispersi, si riuniscano insieme. «Ciò che raduna gli uomini e le donne nella Chiesa di Dio non sono le coincidenze della storia, il fatto di essere, per caso, nati qui; non è la simpatia o il bisogno di farci coraggio a vicenda, non è la buona volontà dell’accoglienza, non è la condiscendenza, non è la buona educazione. Ciò che ci raduna è, invece, la vocazione con cui tutti siamo chiamati. Questa morte è come tutte le morti, ma è unica tra tutte le morti, perché ci salva e a questa morte si appoggia chi vive».
Chiarissimo il monito che si fa consegna e auspicio: solo il radunarsi intorno a Gesù ci rende Chiesa, altrimenti i tentativi di camminare insieme «finiscono irrimediabilmente in una dispersione insanabile».
Da qui l’auspicio a tenere fisso lo sguardo su Gesù, lasciandoci condurre da Lui: «anche il cammino che stiamo compiendo come Chiesa formata dalla genti sia alla sequela di Gesù. Non c’è altro nome sotto il cielo in cui gli uomini possono essere salvati».
E poco prima della benedizione con il legno della Croce, del canto finale della Salve Regina, della colletta a favore delle donne e dei bimbi del Sud Sudan (con offerte frutto del digiuno e della penitenza chiesti da papa Francesco), ancora un pensiero che l’Arcivescovo rivolge idealmente ai più giovani. «Sono molto preoccupato. Ho già scritto una lettera ai 18enni, ma ci sono anche gli altri e, allora, portate un messaggio a tutti quelli che hanno 16 anni, che sono nati nel 2002. Date loro un euro e dite di accendere una candela in chiesa e di ripetere, davanti al crocifisso, che Gesù è morto anche per loro. Dobbiamo trovare qualche maniera per far capire ai nostri ragazzi e adolescenti che il Signore li ama».

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