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Canonico e giurista, operò nel XIV secolo con il papato per la riconciliazione di Milano

Moreno Giuseppe Vazzoler

Leone-da-Dugnano

La battaglia di Desio (1277), con la sconfitta dei Torriani, decideva le sorti di un’aspra tenzone combattuta tra le fazioni della nobiltà milanese e poneva, contemporaneamente, fine all’autonomia comunale di Milano: aveva così inizio la signoria dei Visconti. L’arcivescovo milanese Ottone Visconti, il valente guerriero che aveva sbaragliato i Torriani, era scarsamente dotato di lume politico e, cosciente di questo limite, aveva lasciato le sorti del popolo al nipote Matteo, figura carismatica della nascente signoria viscontea. L’inizio del suo governo a Milano non fu, tuttavia, una semplice passeggiata su ubertosi colli. L’imposizione di un pesante fardello fiscale gli alienò il popolo ambrosiano: ne approfittarono i Torriani fuoriusciti per raccogliere un nugolo di opposizione e marciare su Milano.

Matteo, senza attendere l’attacco, si ritirò in volontario esilio. A quanti gli chiedevano «Quando ritornerete?» rispondeva: «Quando gli spropositi degli avversari avranno superato i miei!». Così avvenne! Alcuni anni dopo (1311), con l’aiuto dell’imperatore tedesco, rieccolo a Milano, più potente di prima. I suoi figli, Galeazzo, Marco, Luchino e Stefano, validi guerrieri e politici esperti, conquistarono numerose città e potenziarono l’esercito ducale, grazie all’aggravio fiscale sui beni ecclesiastici.

La signoria di Matteo su Milano incontrò sempre momenti di tensione, evidenziati dall’aspra lotta tra le fazioni che in quel tempo dividevano il potere nei territori italiani: i Guelfi (rappresentati a Milano dai Torriani e dalla maggioranza del popolo, favorevoli al Papato) e i Ghibellini (favorevoli all’impero e rappresentati a Milano dai Visconti e dalla nobiltà). Tanto accanimento contro la Chiesa gli procurò l’ira del clero e l’odio papale: Giovanni XXII, che da Avignone l’accusò di eresia e lo scomunicò con tutti i suoi familiari e fiancheggiatori. Gli inquisitori papali raccolsero numerose accuse, solo in parte provate, contro i Visconti: «Marco (figlio di Matteo) ha incarcerato preti, espulso monaci, ha ubbriacato un prete e lo ha costretto a giacere con una donna». Tra coloro che vennero scomunicati per l’appoggio dato ai visconti si ricorda, anche un certo Leone da Dugnano, canonico del capitolo della basilica di Monza e noto giurisperito. Morto Matteo Visconti, nel giugno del 1322, alla guida della signoria milanese succedeva il figlio Galeazzo. L’ipotesi di un regno francese in Lombardia, appoggiato dalla Chiesa e la necessità di accontentare la popolazione desiderosa di frequentare le chiese, convinsero Galeazzo a chiudere lo sterile conflitto religioso e conciliarsi con la curia pontificia di Avignone. Bisognava, dunque, promuovere iniziative diplomatiche per favorire il riavvicinamento ed eludere le velleità territoriali con l’imperatore Ludovico il Bavaro, nemico giurato di Giovanni XXII. A tale scopo, nella primavera del 1329, furono inviati ad Avignone Leone da Dugnano e Zonfredo da Castano, poi nominato prevosto di Bollate e vicario generale dell’arcivescovo di Milano. I due canonici portarono al Papa un fascio di lettere di Galeazzo, Giovanni, Luchino e Lodrisio: tutti chiedevano l’assoluzione dalle censure ecclesiastiche. I procuratori viscontei attesero ad Avignone alcune settimane, poi il 15 settembre furono introdotti davanti al Papa e al solenne Concistoro. A nome dei duchi milanesi, giurarono di aborrire il favore accordato a Ludovico il Bavaro e promisero l’assoluta devozione alla Chiesa. Tale dichiarazione giurata, doveva però rimanere segreta: l’imperatore era ancora a Pavia e in procinto di riattraversare le Alpi. Solo nel maggio del 1341, dopo ulteriori viaggi di Leone da Dugnano e altri procuratori, la cancelleria papale rilasciò in forma ufficiale gli atti di assoluzione richiesti: la contesa poteva dirsi finalmente chiusa.

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