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Felice Asnaghi ricostruendo la storia della chiesa di Santa Maria ci restituisce il senso di una vicenda di fede, di tradizioni e bellezze artistiche che permangono fino ai nostri giorni

Giovanni Antona Traversi

Meda1

Anche il visitatore più disattento dell’attuale piazza Vittorio Veneto, a Meda, non può non notare una particolarità: la presenza di due chiese. L’Oratorio di San Vittore, unica testimonianza ancora oggi intatta dell’omonimo monastero benedettino, che per quasi mille anni determinò le vicende medesi, e la chiesa di Santa Maria, che fu acquistata dal monastero sul finire del secolo XI e che divenne ben presto il simbolo, religioso ed architettonico, del desiderio di affrancamento e di autonomia degli abitanti di Meda dal potere delle «reverende monache» del cenobio.

Da questa contrapposizione scaturirono secoli di lotte, che proprio nel diritto di nomina del curato della chiesa di Santa Maria trovarono il punto di attrito più duraturo: i medesi non sopportavano l’ingerenza della badessa nella vita religiosa, e di riflesso civile, del borgo e cercarono in ogni modo di limitarla. La prima sentenza sulla questione risale al 1138 e alla decisione di Robaldo, arcivescovo di Milano, che riconosce lo ius et dominium del monastero sulla chiesa, tra cui la possibilità di nominare i sacerdoti. A questa prima decisione segue una lunga trafila di liti giudiziarie, sentenze arbitrali, appelli e cause incidentali, che punteggiano la storia di Meda fino al Settecento. Una tensione mai placata, di cui le bolle papali della fine del XII secolo sono la testimonianza più completa. [1] Alla fine il giuspatronato del monastero sulla chiesa di Santa Maria resiste a tutti gli attacchi, compresa la transazione con gli abitanti di Mesa del 10 dicembre 1252 che pone fine al dominatus feudale del cenobio sul borgo ma non ne intacca i poteri ecclesiastici. [2] Sarà invece la decisione di san Carlo, nel 1581, di rendere il curato della chiesa «inamovibile», una volta nominato il passaggio che limiterà fortemente il potere della badessa nei due secoli successivi.

Felice Asnaghi, che della storia di Meda e della Brianza è grande divulgatore, affronta in questa opera proprio le vicende storico-artistiche della chiesa di Santa Maria, prendendo spunto da un’apia documentazione che parte dalla fonti medioevali, passa per le visite pastorali degli arcivescovi dal Quattrocento al Settecento – tra cui quelle fondamentali di Carlo e Federico Borromeo – e arriva fino all’età moderna e ai giorni nostri. L’autore si sofferma in particolare sulle diverse costruzioni della chiesa che si sono succedute nel corso dei secoli: dalla chiesa medioevale, di cui pochissimo sappiamo dal punto di vista architettonico, al rifacimento seicentesco per il quale invece possiamo contrare su una discreta documentazione, fino alla nuova costruzione ottocentesca e alle modifiche effettuate nel Novecento che hanno dato vita all’edificio attuale, interventi ricostruibili nella loro interezza.

Numerosi gli episodi raccontati e i documenti richiamati: la lite sulle campane del 1736; la relazione redatta in occasione della visita del cardinale Pozzobonelli nel 1762, con il minuzioso elenco dei diversi elementi della chiesa; il periodo convulso che segue la soppressione del monastero nel 1798, con l’elevazione a parrocchia; il racconto del miracolo del 2 agosto 1813; il «questionario» che ci ha lasciato l’arcivescovo Romilli a seguito della visita a Meda del 1852. Fino alla descrizione analitica dell’edificio attuale: la facciata, con gli elementi figurativi che richiamano in qualche modo la vicina chiesa di San Vittore, le tre navate interne e le diverse cappella laterali, gli affreschi di Luigi Morgari e di Primo Busnelli. Senza dimenticare le curiose vicende del campanile, che oggi svetta sopra la piazza ma ai tempi del monastero doveva essere basso, di legno, per non consentire la vista all’interno delle mura. E la storia del magnifico organo, che si può ancora ammirare a ridosso della controfacciata, appena varcato il portone d’ingresso della chiesa, e che sarà oggetto di un annunciato restauro.

Felice Asnaghi ci conduce in questo racconto lungo quasi dieci secoli sulla storia del Santuario, come a Meda è tradizionalmente chiamata la chiesa di Santa Maria, restituendoci il senso di una vicenda di fede, di lotte civiche, di tradizioni e bellezze artistiche che permangono fino ai nostri giorni. Un unicum che abbiamo il dovere di conservare e tramandare.

 

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[1] Per l’approfondimento della questione e l’edizione critica delle bolle papali si veda il volume a cura di Annalisa Albuzzi, Litterae pontificiae nel fondo di S. Vittore di Meda (sec. XII), Rotary Club di Meda e delle Brughiere, 2005.

[2] Per un confronto tra la vicenda medese, che vide contrapposti il monastero di S. Vittore e il pievano di Seveso, e quella di Arosio, che coinvolse il Monastero Maggiore di Milano e la pieve di Mariano, in materia di diritti di nomina dei sacerdoti di chiese ubicate nei rispettivi comuni, è utile il locus Faroe nel contado di Milano attraverso le pergamene di S. Vittore di Meda (fine X – metà XIII sec.), tesi di laurea di Timothy Salemme, Università degli studi di Milano, anno accademico 2004-2005, pag. 25-30.

 

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