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Il fondo Visite Pastorali rappresenta il punto di partenza obbligato per tutte le ricerche che si compiono presso l'Archivio Storico diocesano

Fabrizio Pagani

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Nel 1853, Aristide Sala, che già si era reso conto del disordine in cui versavano gli Archivi arcivescovili, ottenuto l’incarico di archivista, mise mano alla loro sistemazione riunendoli in una sola sede e in otto anni di lavoro riuscì nella sua opera di riorganizzazione. «Gli Archivj Arcivescovili di Milano attualmente  sono cinque: l’Archivio detto della Mensa Arcivescovile; il Notarile, quello dei Duplicati, il Deposito degli Atti della Cancelleria dei Matrimonj; ed importantissimo fra tutti quello detto delle Visite, perché istituito da san Carlo principalmente per raccogliervi i copiosissimi atti da Lui raccolti nella visita della città, diocesi e provincia, o Spirituale perché destinato principalmente alla conservazione degli atti riguardanti lo spirituale governo della diocesi […]».[1] E ancora: «Gli atti della Visita Pastorale costituiscono la fonte più voluminosa e diremo anche più utile e più importante dell’Archivio, perché offrono lo studio minutissimo in ciascheduna Chiesa nelle diverse epoche in cui fu visitata, e tutti insieme presentano la storia progressiva d’ogni Parrocchia non senza curiose particolarità di costumi, e sovente accompagnate da disegni e topografie».[2]

In queste righe è racchiusa l’importanza del fondo Visite Pastorali: in circa 2600 volumi sta tutta la storia delle chiese, degli oratori, dei luoghi pii, delle confraternite dell’intera diocesi di Milano. L’obbligo della residenza e della visita pastorale era stato rinnovato con vigore nelle sessioni VI e XXIV del Concilio di Trento, ma l’istituto della visita non era mancato neppure nei secoli precedenti, quando la trascuratezza della cura pastorale delle diocesi era la regola e non l’eccezione. Malgrado la scarsità della documentazione del periodo pre-borromaico, ci rimangono documenti circa le visite di Gabriele Sforza (1454-1457), di Stefano Nardini (1461-1484), di Guido Antonio Arcimboldi (1488-1497) e di Giovanni Angelo Arcimboldi (1550-1555).[3] Con l’applicazione delle nuove norme tridentine la visita pastorale assume una nuova fisionomia e un nuovo aspetto dal punto di vista religioso. Le visite pre-tridentine erano, di norma, brevi e molto parziali (alle visite sopra ricordate, possiamo aggiungere la visita alla cattedrale di S. Tecla di Francesco da Parma e la visita al monastero di S. Celso di Bartolomeo Capra nel 1423) mentre dopo la celebarzione del Concilio, la visita doveva servire al Vescovo per conoscere le condizioni religiose, sociali e anche economiche della propria diocesi.

Prima del suo arrivo, Carlo Bottomeo affida la diocesi a Gerolamo Ferragata (1562), che inizia subito la visita pastorale; lo stesso farà Niccolò Ormaneto appena nominato vicario generale (1564); è importante sottolineare l’uso di collaboratori da parte di Carlo Borromeo (come non ricordare poi, il gesuita, Leonetto Chiavone) cui veniva delegata l’opera di riforma della diocesi, anticipando la sua visita personale alle diverse pievi dell’immensa diocesi. Al suo arrivo a Milano nel 1565, Carlo Borromeo si occupa personalmente dell’opera di riorganizzazione religiosa della diocesi proprio attraverso la celebrazione di concili, di sinodi e della visita pastorale: «grande fu l’importanza sia religiosa che sociale delle Visite pastorali. Infatti tutta l’immensa mole di lavoro e di fatica, che portava l’arcivescovo nei mesi estivi ogni giorno ad incontrare le popolazioni della diocesi, dette ovviamente dei risultati sia per quanto riguarda l’organizzazione del clero che per l’intera popolazione. E se in un primo tempo fu prestata la massima attenzione alla riorganizzazione delle strutture religiose, man mano che queste si avviarono entro nuove norme crebbe l’interesse per la società civile, soprattutto per quella del contado, bisognosa […] di aiuti e di conforto».[4]

Durante il Concilio provinciale IV (1576) si sviluppano le norme per la visita pastorale:[5] «con una minuzia che si direbbe esasperante […] si stabiliscono poi le norme per compiere specchietti, inventari, documenti vari, liste di nomi, elenchi, note accurate, indici, tavole e tabelle riassuntive, costituzioni per il clero, Regole per le Confraternite, Statuti per gli ospedali ed i Luoghi pii, status personale del clero, status generale della popolazione fornito di un gran numero di dati statistic […] Tutto doveva essere squadernato davanti l’arcivescovo ed ai suoi convisitatori, con la più assoluta precisione e completezza».[6] Le regole stabilite da Carlo Borromeo in parte sono poi decadute, altre si sono mantenute e se ne trova eco nelle visite successive. Dal tempo di Carlo Borromeo, i volumi delle visite (ad eccezione della copia calligrafica della visita pastorale del card. Federico Visconti, compiuta negli anni 1682-1689, raccolta nei volumi delle Pievi diverse) seguono tutti lo stesso schema. Il visitatore descrive la chiesa, il tabernacolo, la cappella e l’altare maggiore, le cappelle e gli altari laterali, il battistero, la sacrestia (con i ricchissimi inventari delle suppellettili liturgiche), il campanile, il cimitero, le case parrocchiali, e passa poi a dare indicazioni sui legati di messe, sui libri parrocchiali, sulla religiosità della popolazione (reliquie, voti e consuetudini) e infine, utilme ma altrettanto importantissime, si danno notizie sul parroco e sul resto del clero residente in parrocchia. Nello stesso volume, o in un altro della serie della stessa pieve, si trovano i decreti (le «ordinationes»), che venivano inviati al ritorno a Milano del visitatore e che il più delle volte non venivano poi rispettati: ma i decreti andavano comunque eseguiti, altrimenti si era passibili di processi con la somministrazione di pene pecuniarie. Al tempo di Carlo Borromeo, questi decreti venivano letti dai parroci in occasione delle feste più importanti dell’anno liturgico, perché rimanessero vivi l’eco e gli effetti che la visita aveva prodotto sulle popolazioni.

Quando nel 1647 si trattò di rimettere ordine alla «dispersione» dei documenti seguita alla celebrazione del VII Concilio provinciale,[7] voluto dal cardinale Federico Borromeo nel 1609, Giovanni Battista Corno, su ordine del cardinale Cesare Monti, cominciò «quasi subito la servitù e mi convenne star in ginocchio molto lungo tempo per separare le scritture»: tra le sue prime fatiche vi fu quella di riunire le visite di Carlo Borromeo alla città e alla provincia ecclesiastica. Dal 1657 il Corno e il suo aiutante Giovanni Battista Leva si dedicarono alla ricostruzione della serie dei volumi delle visite pastorali, che, con le aggiunte successive, sono giunti fino a noi.[8] Grazie, quindi, al Corno e ai suoi aiutanti, il fondo Visite Pastorali rappresenta il punto di partenza obbligato per tutte le ricerche che si compiono presso l’Archivio Storico diocesano.

 

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[1] A. Sala, Documenti circa la vita e la gesta di s. Carlo Borromeo, Milano 1857, vol. I, p. IX.

2 Ibidem.

[3] I documenti riguardanti queste visite si trovano sparsi tra l’Archivio storico diocesano di Milano e l’Archivio di Stato di Milano.

[4] A. Buratti Mazzotta, Le visite pastorali di san Carlo nell’Alto milanese: territorio e società, in L’Alto milanese all’epoca di Carlo Borromeo; società e territorio, «Rassegna Gallaratese di Storia e d’Arte» 124 (1984), p. 20

[5] Acta Ecclesiae Mediolanensis, vol II, coll 431-ss.

[6] A. Palestra, L’Archivio Storico della diocesi di Milano, in Gli archivi milanese per la storia locale, Milano 1980, p. 20.

[7] Il Corno scrive nelle sue memorie: «mancavano due stanze, et il sig. Cardinale fece svuotare tutto l’Archivio […] le scritture furono portate in sacchi, e cavagne da fachini sopra un solaro» cfr. R 353.

[8] Ai volumi sistemati dal Corno sono da aggiungere quelli delle visite dei cardinali Federico Visconti, Giuseppe Pozzobonelli, Filippo Visconti e di Bartolomeo Romilli (solo per qualche pieve). A queste visite sono poi da aggiungersi quelle dei visitatori regionari e dei vicari foranei che si succedono per tutto il Settecento, che suppliscono l’arcivescovo impossibilitato a muoversi da Milano per diversi motivi. A parte vengono poi considerate le visite dei cardinali Andrea Ferrari, Eugenio Tosi, Ildefonso Schuster e Giovanni Battista Montini.

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