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Il card. Federico Borromeo nell’autunno del 1605 visita personalmente la pieve di Trenno e ci lascia un significativo quadro della situazione in cui versava la parrocchia di Pero. (ex ASDMI, Visite pastorali. Trenno, vol.8)

Giuseppe Moreno Vazzoler

Pero

Terminata la visita alla pieve di Cannobio, il card. Federico Borromeo delibera di visitare la pieve di Trenno. Dopo aver celebrato messa e aver fatto colazione (sumptibus refectione) parte da Legnano, con tutta la famiglia arcivescovile che lo aveva accompagnato nella visita alla pieve cannobina, e l’8 ottobre arriva alla Cascina del Pero, dove ai confini della parrocchia viene ricevuto dal parroco e dalla comunità fermandosi in adorazione della croce, poi processionalmente viene accompagnato alla parrocchiale, osservando le solite cerimonie, prescritte nel Pontificale, e inizia la visita della chiesa, che era già stata visitata da san Carlo, da Gerolamo Ragazzoni (vescovo di Famagosta e visitatore apostolico) e da Gaspare Visconti.

Ecco la descrizione riportata dal verbale che mette in luce l’estrema povertà in cui versavano la chiesa e la comunità parrocchiale di Pero:

 

«Il Santissimo Sacramento viene conservato in una piccola pisside argentata posta in un piccolo tabernacolo ligneo, di forma quadrata, indecente, rivestito di raso ceruleo. Il tabernacolo è rivestito da un conopeo di seta rossa. La chiesa non possiede l’ostensorio. La lampada eucaristica pende davanti all’altare ed è alimentata con olio di noci (ma ogni tanto viene usato olio di semi di lino) a spese della comunità.

La chiesa non ha battistero ed i bambini da battezzare vengono portati alla chiesa prepositurale di Trenno che è la più vicina (magis propinquam). Il vaso dell’olio degli infermi viene conservato in un astuccio e in un sacchetto di damasco violaceo nella cassa dei paramenti posto sull’altare.

Vi è un unico altare, quello maggiore, non consacrato, costruito secondo le norme, sopra di esso vi è un gradino ligneo. Il tabernacolo è ornato dall’immagine di due angeli indorati e da quattro candelabri di auricalco. Sopra l’altare vi è una tela su cui è dipinta la scena della visita di Maria ad Elisabetta, con una cornice di legno indecente. Non esiste la nicchia per le ampolline. Non c’è la cappella e subito dietro la parete posteriore dell’altare è stata costruita l’abitazione del parroco, che dovrà essere distrutta per far posto alla cappella [ma, nel verbale, viene sottolineato che la comunità non intende procedere alla costruzione della nuova casa a causa della sua povertà].

La chiesa non è orientata, come vorrebbero le regole liturgiche, ma è rivolta ad occidente, è consacrata come appare dalle croci rosse dipinte sulle pareti. Ha un’unica navata, lunga 17 cubiti, larga 12 e mezzo, alta 9 e mezzo [il cubito equivaleva a 0,42 metri]. Il pavimento è di mattoni quadrati, le pareti sono in parte dipinte, in parte intonacate e nella parte aquilonare vi sono diverse immagini, tra cui la Madonna, a cui vengono offerti dei doni da alcune pie persone. Vi è una porta nella facciata della chiesa e una finestra nella parete meridionale chiusa da una grata et papiro obducta. Vi è un confessionale alla forma, ma carente delle tabelle richieste. Non vi sono sepolcri, in quanto tutti i defunti vengono sepolti nel cimitero. Vi è una piccola torre nella parte aquilonare della facciata con una piccola campana, che non si sa se sia stata benedetta.

Il cimitero è posto nella parte meridionale ed occidentale esterna alla chiesa, non è stata eretta la croce e all’ingresso non è stata scavata la fossa.

Non c’è la sacrestia e le suppellettili sono riposte in una cassa all’interno della cappella dell’altare. Nella cassa sono contenuti due palii, uno di seta rossa e l’altro di damaschino; tre pianete di cui una nera e una bianca antiqua nec toleranda; un calice con la patena; sei sacchetti di damasco per i corporali due rossi, due bianchi, uno nero e uno di broccato; due veli, due camici; due amitti; otto purificatoi; due corporali; una croce e quattro candelabri di auricalco.

La casa parrocchiale è unita alla chiesa ed ha due locali a piano terra, una cantina, una cucina e una stalla, ma non ancora terminata, al piano superiore altri due locali, ha un giardino. La casa confina per tre lati con la proprietà dei fratelli Cagnola e dall’altra con quella del senatore Galeazzo Visconti. Le famiglie di questo luogo sono 22 con 200 anime di cui 150 da comunione». [Libero adattamento dal testo latino]

 

Al momento dell’erezione della nuova parrocchia, la chiesa di Pero era soggetta alla prepositurale di Trenno che aveva sotto di sé una popolazione numerosa, di cui una porzione era parte integrante della parrocchia della Cascina del Pero (deflueret, pro ut defluit, flumen Ollona). Dal territorio della parrocchia di Trenno, san Carlo aveva stralciato quello della Cascina del Pero, erigendola in parrocchiale, dotandola di un beneficio costituito dai redditi di un canonicato eretto nella prepositurale e di quello di un chiericato eretto nell’oratorio di san Leonardo alla Torrazza e di un censo di 200 lire da pagarsi al parroco ogni anno dalla comunità. Del beneficio era stato investito il sacerdote Giovanni Antonio Cesati. Defunto il Cesati, gli abitanti di Pero, che erano ancora viventi tra i sottoscrittori della promessa fatta di pagare le 200 lire e gli eredi di quelli che ormai erano morti, dichiararono di non essere più tenuti a pagare il censo annuo, per cui nessun sacerdote veniva investito del beneficio ed il reddito della parrocchia venne unito a quello della prebenda prepositurale di Trenno, in quanto il prevosto esercitava la cura d’anime sulla parrocchia di Pero. Il verbale della visita ci informa che, anche in questo delicato frangente della vita parrocchiale, per un certo periodo, il beneficio era stato posseduto dal sacerdote Pietro Fumagalli, ma subito dopo, lo stesso beneficio aveva dovuto essere devoluto alla Sede Apostolica perché era stato richiesto ed ottenuto dal sacerdote Lorenzo Manzani, che rimase parroco per circa quattro anni in pacifica possessione.

Da ultimo, non molto tempo prima della visita pastorale, il beneficio venne ottenuto per permuta, dal sacerdote Gerolamo Muggiasca, diocesano di Como, già parroco di Opera e che aveva già esercitato la cura d’anime in diversi luoghi della diocesi, sia come titolare di un beneficio che come mercenario, che però non godeva di buona fama nei luoghi in cui aveva già esercitato il ministero, per i suoi costumi, per le cattive conversazioni con il popolo, per essere facile preda dell’ira se provocato dalle offese della gente ed anche a Pero i suoi costumi non cambiarono.

Il verbale della visita continua presentando i diritti del canonicato e del chiericato che formavano una parte della prebenda parrocchiale.

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