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Intervista

Parsi: «A Cuba aperture per l’economia privata, non libertà politica»

L’esperto di Relazioni internazionali della Cattolica presenta il quadro dell’isola centramericana alla vigilia del viaggio dell’Arcivescovo di Milano

di Luisa BOVE

1 Aprile 2018
Vittorio Emanuele Parsi

A Cuba piccole aperture per l’economia privata, ma ancora poca libertà politica. A dirlo è Vittorio Emanuele Parsi, professore ordinario di Relazioni internazionali all’Università Cattolica di Milano, alla vigilia del viaggio a Cuba dell’Arcivescovo, monsignor Mario Delpini.

Professore, con la morte di Fidel Castro e l’avvento di Raúl è cambiato qualcosa per la popolazione cubana? C’è maggiore libertà economica e di informazione?
C’è un po’ di libertà economica rispetto alle iniziative private, soprattutto legate al turismo. Non ci sono invece sostanziali novità sulla libertà di comunicazione e di informazione e neppure sulla libertà politica. Si respirava un’aria diversa dopo l’accordo tra Obama e Raúl, reso possibile dal Papa, ma con la nuova presidenza c’è stato nuovamente un passo indietro, per cui anche i viaggi degli americani per Cuba, che erano un grande fattore di cambiamento del clima, sono stati sospesi o resi più difficili.

Le tensioni tra Stati Uniti e Cuba, che durano da oltre cinquant’anni, come crede potranno evolvere con la presidenza Trump?
Il quadro è talmente in evoluzione nel sistema internazionale nel suo complesso che è difficile fare previsioni. Mi spiego. Trump è tornato all’antico nei confronti di Cuba: bisogna tenere presente che i cubani americani non sono così “aperturisti”, perché molti sono dovuti scappare lasciando tutto a Cuba. Per cui, quando pensano a un ritorno, pensano al recupero delle proprietà. D’altra parte Cuba resta un Paese alleato con la Russia: in questo momento i rapporti russo-americani e direi russo-occidentali sono pessimi, grazie alle mosse di Vladimir Putin, che da due anni ha inanellato una serie di azioni che non possono che peggiorare il clima nei confronti dell’Occidente. Cuba in qualche modo risente anche di questo.

La diplomazia internazionale può fare di più per la stabilità?
Cuba è comunque un Paese controllato in maniera puntuale dal Partito comunista, non è ancora un sistema in evoluzione, per cui azioni esterne non ne vedo tante. Dal mio punto di vista sarebbe un bene tornare alla situazione dei tempi di Obama, quindi con aperture caute, soprattutto rispetto ai contatti tra le persone che, oltre al lato umano non disprezzabile, sono anche quelli che costano meno e contribuiscono di più a cambiare il clima.

La presenza della Chiesa cattolica, seppure molto esigua, può contribuire a migliorare il clima nel Paese ed essere spina nel fianco dei leader politici affinché siano garantiti i diritti fondamentali?
Beh, se la Chiesa non è spina nel fianco di un regime molto autoritario, mi chiedo cosa ci sta a fare: se sta lì senza dar fastidio, tanto vale che faccia i bagagli… Detto questo, bisogna seguire l’esempio del Papa: essere fermi sulle posizioni e non rigidi nelle relazioni con le autorità. È chiaro che tocca alla Chiesa cubana, che deve convivere tutti i giorni col regime, decidere cosa fare. Chi siamo noi per dirlo? Immagino che cerchi di sopravvivere e di testimoniare.01