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Morto l'1 gennaio

Longhi, giornalista libero e autonomo

L’ex direttore del Tg1 nel ricordo dell’Ucsi, di cui era socio: «Nessun altro come lui era in grado di garantire il servizio pubblico soprattutto nei momenti di crisi»

4 Gennaio 2018
Albino Longhi

L’1 gennaio è morto Albino Longhi, giornalista, tre volte direttore del Tg1. Aveva 88 anni. Era nato a Mantova e aveva iniziato la sua attività giornalistica alla Gazzetta locale. Poi era stato caporedattore di Sicilia del Popolo a Palermo, dell’Agenzia Italia e di Avvenire d’Italia di Bologna. Era entrato in Rai nel 1969: negli anni seguenti era stato direttore del Tg1 dal 1982 al 1987, poi di nuovo per qualche mese nel 1993 e dal 2000 al 2001. Longhi era stato anche vicedirettore generale della Rai e direttore del quotidiano L’Arena di Verona. Così lo ricorda Andrea Melodia, già presidente dell’Ucsi, l’associazione dei giornalisti cattolici di cui Longhi era socio.

«Fatico a raccontare con distacco a chi non lo ha conosciuto per quali ragioni Albino Longhi è stato un grande giornalista, perché nei miei ricordi prendono il sopravvento motivi di gratitudine personale che mi porterebbero forse a parlare di me stesso più che di lui: perché davvero lui è stato un mio solido sostegno in più di una occasione. Ma non parlerò di questo.
Se guardiamo i nudi dati biografici, spicca la stranezza del fatto che Albino Longhi per ben tre volte venne chiamato, o richiamato, a dirigere la più grande e delicata testata del servizio pubblico e del Paese, il TG1. Lui negli ultimi anni ci scherzava, mi pare che usasse egli stesso l’espressione “brontosauro”.
Ma la verità era che nessun altro come lui era in grado di garantire il servizio pubblico soprattutto nei momenti di crisi. La prima volta, dopo l’infelice parentesi di una direzione ad interim affidata a Emilio Fede dal direttore generale Willy De Luca, che in qualche modo era tornato a dirigere il TG1 personalmente dopo lo scandalo P2 e le dimissioni di Franco Colombo. Quando De Luca morì all’improvviso ci fu la felice invenzione di chiamare Longhi alla direzione. Ricordo che furono cinque anni di successi importanti, nei quali la testata riconquistò l’autorevolezza con cui Emilio Rossi l’aveva fondata.
Longhi era un uomo pacato, ma dalle idee fermissime. La sua stanza era sempre aperta. Le riunioni di redazione erano brevi e intense. Ascoltava tutti, si spiegava e decideva rapidamente. Faceva servizio pubblico perché rispettava ogni orientamento e non si lasciava mettere all’angolo da nessuno. E questo è il vero motivo per cui venne richiamato due volte alla direzione, la prima per sostituire Bruno Vespa, la seconda al posto di Gad Lerner. Perché Albino non aveva “editori di riferimento”: era un uomo, un giornalista, con le sue idee politiche – fu molto vicino a Romano Prodi -, ma nessuno poteva accusarlo di partigianeria. E preferiva non dare quella che poteva sembrare una notizia piuttosto che darla sbagliata o fare da cassa di risonanza a interessi di parte.
Per questo ebbe intorno a sé giornalisti che lo ammiravano e che gli erano amici. E non a caso l’idea di giornalismo che ha ispirato il cattolico Albino Longhi – libera, autonoma, non ideologica, e amichevole verso tutte le persone perbene – è tanto simile a quella che cerchiamo di sostenere nell’Ucsi, che lo ebbe tra i suoi soci. E bene ha fatto Raniero La Valle, al termine della cerimonia funebre, a ricordare che il racconto efficace e attentissimo delle novità del Concilio Vaticano II su Avvenire d’Italia è stato reso possibile, in grande misura, dal lavoro costante di Albino Longhi come caporedattore del quotidiano».