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Famiglia-lavoro

Natale, il dono d’amore sorge anche nel Fondo

Un anno fa nella notte santa il cardinale Tettamanzi lanciava la proposta per chi perde l'occupazione

di Franco BUZZI prefetto Biblioteca Ambrosiana Redazione

23 Dicembre 2009

Non è una festa qualsiasi. Si tratta della nascita nella carne del Figlio di Dio, Gesù, il Salvatore. Nel suo nome è già inclusa la sua missione di salvezza: Gesù, cioè "Dio salva". Ma da che cosa ci salva, da che cosa ci libera? Propriamente da noi stessi, dalla nostra capacità di farci del male e di fare del male agli altri. Dio viene in mezzo a noi per liberarci dalla falsa relazione che intratteniamo con noi stessi e con il prossimo.
C’è, infatti, un ripiegamento su di sé che schiavizza il soggetto inabilitandolo alla relazione con gli altri: è una specie di progressiva chiusura ermetica, soffocante e mortale, nella quale si sprofonda sempre di più, man mano che ci si rapporta in modo esclusivo a se stessi. Ciò si verifica quando si è talmente occupati con se stessi da non vedere più le cose come stanno, da non essere più capaci di cogliere i veri contorni della realtà, delle situazioni e delle persone che si incontrano nella propria vita. Tale chiusura procura un’intensissima sofferenza a se stessi e agli altri. Ciò dipende dal fatto che non siamo stati creati come realtà irrelate, vale a dire prive di relazione con altro da sé. Anzi la stessa creazione da parte di Dio consiste nel fare essere qualcosa o qualcuno che è, solo in virtù della relazione che lo lega al Creatore.
La consapevolezza della relazione creaturale, costitutiva di tutto ciò che esiste, pone la persona umana nella condizione originaria di essere aperta a tutto ciò che esiste, abilitandola a intrattenere relazioni positive e costruttive con tutto ciò che esiste. Decadere da questa originaria capacità di relazione è trovarsi nelle tenebre, è chiudersi nell’isolamento. Proprio per questo motivo «il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi» (Gv 1, 14), Lui, «per mezzo del quale tutto è stato fatto e senza del quale niente è stato fatto di tutto ciò che esiste» (Gv 1, 3). Egli è venuto come la Via, la Verità e la Vita per ristabilirci nella relazione originaria con il Padre e per aprirci alla relazione senza confini con i nostri simili. In questo modo, nel Natale di Cristo, Dio non ci offre soltanto qualche dono, materiale o spirituale che sia, ma ci dona propriamente se stesso.
Egli, nel Figlio suo, si comunica a noi. In questo modo Dio, il Padre, si rende manifesto come l’amore che non si rassegna a perdere la nostra compagnia. Per questo, tramite il Verbo incarnato «pieno di grazia e di verità» (Gv 1), il Padre ci rende partecipi dell’eterna relazione d’amore che lo lega al Figlio suo, Gesù, nostra salvezza. Per mezzo del Verbo incarnato, Dio, il Padre, riattiva in noi l’originaria relazione di amore che ci ha posto nell’essere, e ci chiama ad esercitarci nell’amore. Solo così, mediante il suo Verbo eterno fattosi carne, ritroviamo la nostra vocazione originaria a essere ciò per cui Dio ci ha creati. Dal Natale, dono di sé che Dio fa all’uomo, scaturisce il dono di sé che l’uomo fa a Dio e ai fratelli, inscindibilmente. Lo si ama amando le sue creature in virtù dello stesso amore con cui Egli le ama: «Come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri» (Gv 13, 34). Il Natale risplende come la sorgente di quell’amore al quale tutti attingiamo.
Come nel caso del Fondo famiglia-lavoro, lanciato l’anno scorso nella sua omelia dal cardinale Tettamanzi non a caso proprio nella notte di Natale. «Nei confronti delle probabili dimensioni della crisi, questa iniziativa è poco più di una "goccia" rispetto al "mare" delle necessità – ha sottolineato l’Arcivescovo -. Vuol essere però un segno con cui la Chiesa ambrosiana manifesta il suo impegno di sobrietà e di solidarietà e, soprattutto, vive e testimonia la sua fede nel Signore che si è fatto uomo tra gli uomini, servo tra i poveri e per i poveri. Un dono che vogliamo portare alla grotta di Betlemme, contemplando nel Bambino Gesù, tutti i poveri e sofferenti del mondo». La storia della santità nella città di Milano e nella Diocesi è come un fiume che trova la propria sorgente nel Natale di Gesù. Lo scorso 25 ottobre, in piazza Duomo, è stato proclamato beato don Carlo Gnocchi, un prete ambrosiano che ha fatto proprio il Natale di Gesù ed è diventato segno efficace del suo amore per l’infanzia abbandonata. Lo stesso amore travolgente ha portato la santa Gianna Beretta Molla a dare la propria vita per la vita che portava in grembo. Molti sono gli aspetti dell’unico, inesauribile dono del Natale. La forza inventiva dell’amore non trova limiti se non nell’incapacità di amare. Per eliminare questo ostacolo Dio si è fatto uomo.
Non è una festa qualsiasi. Si tratta della nascita nella carne del Figlio di Dio, Gesù, il Salvatore. Nel suo nome è già inclusa la sua missione di salvezza: Gesù, cioè "Dio salva". Ma da che cosa ci salva, da che cosa ci libera? Propriamente da noi stessi, dalla nostra capacità di farci del male e di fare del male agli altri. Dio viene in mezzo a noi per liberarci dalla falsa relazione che intratteniamo con noi stessi e con il prossimo.C’è, infatti, un ripiegamento su di sé che schiavizza il soggetto inabilitandolo alla relazione con gli altri: è una specie di progressiva chiusura ermetica, soffocante e mortale, nella quale si sprofonda sempre di più, man mano che ci si rapporta in modo esclusivo a se stessi. Ciò si verifica quando si è talmente occupati con se stessi da non vedere più le cose come stanno, da non essere più capaci di cogliere i veri contorni della realtà, delle situazioni e delle persone che si incontrano nella propria vita. Tale chiusura procura un’intensissima sofferenza a se stessi e agli altri. Ciò dipende dal fatto che non siamo stati creati come realtà irrelate, vale a dire prive di relazione con altro da sé. Anzi la stessa creazione da parte di Dio consiste nel fare essere qualcosa o qualcuno che è, solo in virtù della relazione che lo lega al Creatore.La consapevolezza della relazione creaturale, costitutiva di tutto ciò che esiste, pone la persona umana nella condizione originaria di essere aperta a tutto ciò che esiste, abilitandola a intrattenere relazioni positive e costruttive con tutto ciò che esiste. Decadere da questa originaria capacità di relazione è trovarsi nelle tenebre, è chiudersi nell’isolamento. Proprio per questo motivo «il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi» (Gv 1, 14), Lui, «per mezzo del quale tutto è stato fatto e senza del quale niente è stato fatto di tutto ciò che esiste» (Gv 1, 3). Egli è venuto come la Via, la Verità e la Vita per ristabilirci nella relazione originaria con il Padre e per aprirci alla relazione senza confini con i nostri simili. In questo modo, nel Natale di Cristo, Dio non ci offre soltanto qualche dono, materiale o spirituale che sia, ma ci dona propriamente se stesso.Egli, nel Figlio suo, si comunica a noi. In questo modo Dio, il Padre, si rende manifesto come l’amore che non si rassegna a perdere la nostra compagnia. Per questo, tramite il Verbo incarnato «pieno di grazia e di verità» (Gv 1), il Padre ci rende partecipi dell’eterna relazione d’amore che lo lega al Figlio suo, Gesù, nostra salvezza. Per mezzo del Verbo incarnato, Dio, il Padre, riattiva in noi l’originaria relazione di amore che ci ha posto nell’essere, e ci chiama ad esercitarci nell’amore. Solo così, mediante il suo Verbo eterno fattosi carne, ritroviamo la nostra vocazione originaria a essere ciò per cui Dio ci ha creati. Dal Natale, dono di sé che Dio fa all’uomo, scaturisce il dono di sé che l’uomo fa a Dio e ai fratelli, inscindibilmente. Lo si ama amando le sue creature in virtù dello stesso amore con cui Egli le ama: «Come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri» (Gv 13, 34). Il Natale risplende come la sorgente di quell’amore al quale tutti attingiamo.Come nel caso del Fondo famiglia-lavoro, lanciato l’anno scorso nella sua omelia dal cardinale Tettamanzi non a caso proprio nella notte di Natale. «Nei confronti delle probabili dimensioni della crisi, questa iniziativa è poco più di una "goccia" rispetto al "mare" delle necessità – ha sottolineato l’Arcivescovo -. Vuol essere però un segno con cui la Chiesa ambrosiana manifesta il suo impegno di sobrietà e di solidarietà e, soprattutto, vive e testimonia la sua fede nel Signore che si è fatto uomo tra gli uomini, servo tra i poveri e per i poveri. Un dono che vogliamo portare alla grotta di Betlemme, contemplando nel Bambino Gesù, tutti i poveri e sofferenti del mondo». La storia della santità nella città di Milano e nella Diocesi è come un fiume che trova la propria sorgente nel Natale di Gesù. Lo scorso 25 ottobre, in piazza Duomo, è stato proclamato beato don Carlo Gnocchi, un prete ambrosiano che ha fatto proprio il Natale di Gesù ed è diventato segno efficace del suo amore per l’infanzia abbandonata. Lo stesso amore travolgente ha portato la santa Gianna Beretta Molla a dare la propria vita per la vita che portava in grembo. Molti sono gli aspetti dell’unico, inesauribile dono del Natale. La forza inventiva dell’amore non trova limiti se non nell’incapacità di amare. Per eliminare questo ostacolo Dio si è fatto uomo. – – «Una comunità capace di risposte concrete» – Ora c’è chi ce la fa

La Natività realizzata dal maestro Nastasio